“Garrota”, sanzioni per piegare Putin

Escalation ad Est. Il volo di una ventina di droni misteriosi sul territorio polacco e l’incendio al palazzo del governo ucraino - causato, stando a quanto afferma Kiev, dall’esplosione di un missile russo - indicano un ulteriore aggravamento della situazione.

Mosca, accusata dell’incidente in Polonia, sta testando le difese della Nato sul Baltico? Questa la domanda senza una risposta sicura, ma, già da tempo, la tensione nella regione è alle stelle. In Bielorussia, da oggii al 16 settembre, le truppe locali insieme a quelle russe tengono le annuali manovre “Zapad”. L’uso dei droni, apparecchi nuovi di zecca sui campi di battaglia, è una prima assoluta. In passato la sfida tra russi ed occidentali era limitata a caccia e a missili. Il Cremlino fa le prove di un attacco? Difficile da credersi sulla base delle difficoltà incontrate in Ucraina dal suo esercito. Baltici e scandinavi si stanno armando fino ai denti. Alleanza atlantica o non Alleanza atlantica, applicazione dell’articolo 5 o meno, tutti insieme -c’è da starsene certi - reagiranno ad una minaccia esterna anche contro uno solo di loro. Il problema semmai è che gli altri membri Nato (Italia compresa) non si rendono pienamente conto della pericolosa crisi di nervi sul “fianco orientale”. A luglio il comandante delle truppe Usa in Europa e in Africa, Chris Donahue, ha affermato che la Nato potrebbe conquistare l’enclave russa di Kaliningrad (l’ex Prussia orientale) «in un batter d’occhio». Gli aveva risposto da Mosca un deputato: se ci provate useremo le armi atomiche. Ora che, come garanzia di sicurezza per Kiev, si ipotizza la presenza di unità militari europee sul terreno, la provocazione dei droni versa benzina su una situazione già di per sé esplosiva.

L’incendio al palazzo del governo a Kiev certifica, invece, che anche le istituzioni politiche sono entrate nel mirino; gli obiettivi non sono solo più militari o industriali. È vero, nel maggio 2023 un paio di droni - si suppone ucraini - volarono sul Cremlino, ma quella era apparsa più che altro un’azione dimostrativa. Ora è diverso. Grazie all’iniziativa Usa, il dialogo tra i belligeranti è ripartito, ma le posizioni sono opposte. Con queste azioni si vuole porre pressione sulle istituzioni, spingendole ad ammorbidirsi? Oppure l’incendio è stato una risposta a tentativi segreti di mettere fuori gioco la leadership nemica? Se la sicurezza di Zelensky è affidata ai Servizi occidentali, quella di Putin può contare su un immenso apparato, uno Stato nello Stato. È inutile girarci attorno: sono Putin e la sua squadra a imporre in Russia la prosecuzione delle ostilità, ponendo condizioni inaccettabili agli ucraini.

La gente comune spera, al contrario, di tornare a vivere normalmente il più presto possibile. Emblematico l’ultimo sondaggio: solo il 27% della popolazione - in massima parte anziani della generazione sovietica - insiste per continuare la “Operazione speciale”; il 67% è per un negoziato anche se le illusioni per la mediazione di Trump sono scemate. A meno di miracoli imprevisti, la scia di sangue negli ultimi giorni non induce all’ottimismo. Tutt’altro. Con un Trump furibondo, per aver capito finalmente di essere stato utilizzato in Alaska da Putin senza avere nulla in cambio, gli Usa stanno concordando con l’Europa nuove durissime sanzioni. Queste misure sono una specie di garrota. Dopo interminabili tentennamenti, l’Occidente ha scelto di passare alle maniere forti. L’economia, già in notevole difficoltà, è il tallone d’Achille di Putin. Non appena finiranno i soldi, il Cremlino sarà costretto a modificare tante cose.

In Cina il presidente ha cercato disperatamente soluzioni finanziarie per le sue maggiori compagnie, alcune sull’orlo della bancarotta. In pratica, Putin sta tentando di mettere ulteriore zizzania tra Xi e Trump, i quali si dovrebbero incontrare a margine di un vertice internazionale a fine ottobre. Il Cremlino, in sintesi, punta sullo scontro tra Pechino e Washington per farla franca in Ucraina.

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