I mig russi sull’europa e il voto nelle marche

Mentre nei cieli e nei mari d’Europa compaiono minacciosi lampi di guerra, nella nostra più modesta Italia si compie il rito istituzionale del voto. Gli elettori delle Marche e della Val d’Aosta sono chiamati alle urne per il rinnovo degli organi di governo delle rispettive regioni. Apparentemente, nulla collega i due fatti. I droni e gli aerei (sospetti) russi, che volteggiano al confine o direttamente nello spazio aereo di vari paesi europei (Polonia, Estonia, Lituania, Finlandia, Danimarca, Romania, Alaska) hanno poco a che fare con la questione della guida amministrativa di una regione. Parimenti, la sfida lanciata da una multicolore flottiglia in navigazione verso la Palestina per forzare il blocco navale decretato da Israele, non si può dire certo che incroci i temi della sanità, del rilancio economico, del miglioramento infrastrutturale delle Marche. Eppure, tra quel che si gioca nei cieli e nei mari (e nelle cancellerie) d’Europa e le scelte cui sono chiamati gli elettori marchigiani un nesso si è stabilito. Ne ha fatto le spese il clima politico in cui s’è svolta la campagna elettorale che s’è inasprita infuocando lo scontro tra i due poli.

Era inevitabile, comunque, che si verificasse questa contaminazione della politica estera con quella interna, per due motivi. Primo: è finito il tempo in cui la politica si svolgeva al riparo dei confini nazionali. Dobbiamo abituarci all’idea che il nostro destino è sempre più condizionato da quel che avviene fuori dai confini. Soprattutto, quando spirano minacciosi venti di guerra. Secondo: i conflitti che insorgono in aree limitrofe o con forti risonanze nel nostro paese (conflitti ora in atto in Ucraina e in Palestina, domani può essere in qualche nazione affacciata sul Mediterraneo) infiammano l’opinione pubblica come non mai. È diventato difficile tenere distinte politica interna e politica estera. Lo si è ben visto nella campagna elettorale delle Marche appena conclusasi. Il candidato del campo largo Matteo Ricci ha fatto sventolare la bandiera palestinese in tutte le sue uscite pubbliche. Si è impegnato inoltre, se eletto, a riconoscere lo Stato di Palestina. Un impegno, questo, sottoscritto pressochè da tutti gli altri candidati governatori di regione del centro-sinistra.

Come non bastasse, è intervenutaun’ulteriore ragione che ha contribuito ad elevare la febbre politica. Col voto di quest’oggi inizia una lunga maratona di appuntamenti elettorali (sono ben sette le regioni chiamate al voto tra settembre e novembre) che sfocerà nelle elezioni politiche generali tra poco più di un anno. Il voto quindi delle Marche si presenta come il lancio di una sfida che mette in palio la guida del paese. A caricare ancor più il clima di tensione ha contribuito da ultimo il clima di incertezza che grava su questo primo appuntamento elettorale.

Delle sette regioni al voto son solo le Marche – oltre tra un mese la Calabria - quella in cui la partita sembra aperta e nessuno dei due schieramenti vogliono partire col passo sbagliato. Non c’è da sorprendersi perciò se la politica internazionale si è infilata, condizionandola, nella competizione regionale. È il destino del nostro paese. Da noi la politica estera è prevalentemente un ingrediente della politica interna. Invece di saldare solidarietà trasversali in nome dell’interesse nazionale, è per lo più piegata agli interessi dei partiti. E’ diventata così materiale infiammabile della vicenda amministrativa.

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