Tra le tante pellicole che il tempo natalizio introduce a viva forza nei palinsesti televisivi, c’è quel capolavoro del grottesco e dell’aberrazione umana che è “Parenti serpenti”. Un’inversione bella e buona sul canovaccio comico del “tutti diversi intorno alla stessa tavola imbandita”. Perché sì, siamo tutti diversi (dice Monicelli) finché le sovrastrutture reggono. Ma diventiamo tragicamente uguali quando qualcosa va storto: non ci sono più comunisti o democristiani, licenziosi o puritani, caciaroni o solitari. Se improvvisamente c’è qualcosa da perdere (peggio che mai se sono soldi o posizioni sociali) il variegato zoo si trasforma improvvisamente in un ben omologato branco di iene. Tutte identiche nel tenersi stretti i propri segreti, rinfacciare quelli altrui e, soprattutto, cannibalizzare chi o cosa si frappone ai proprio obiettivi.
Non è tema di questo fondo, ad ogni modo, contestare o assecondare la pessimistica visione antropologica di un toscanaccio cinico come Monicelli. Piuttosto, fa sorridere notare come tra cinema e realtà, o meglio tra società e politica, non corra poi questa gran differenza. Anche a Lecco, i “parenti serpenti” di centrodestra proseguono indefessi nell’inarrestabile marcia che li conduce a sfondare amabilmente l’anno nuovo senza avere tra le mani un candidato sindaco ufficiale, senza una campagna elettorale condivisa, senza strategie (anche economiche, dettaglio non secondario) già decise e operative.
Ma non addossiamo al centrodestra lecchese più responsabilità di quante ne abbia (proprio ieri, udite udite, è arrivato il primo comunicato congiunto tra Mauro Piazza e Giacomo Zamperini). A dirla tutta, in effetti, la sindrome da “parenti serpenti” è in fondo la quintessenza della politica di ogni tempo e di ogni luogo. Chi la pratica, sa bene che esistono tre categorie di relazioni possibili in politica: gli avversari (quelli che la pensano all’opposto da te), gli amici (che sono la cricca, il cerchio magico, la comunità di appartenenza) e i nemici (quelli veri, quelli che ti mitragliano dal tuo stesso partito o coalizione). Ed è sempre stato così. Anche a Lecco, anche e soprattutto nel centrodestra. Chi non ricorda le grandi manovre contrapposte tra Bruno Colombo e l’area cielle in Forza Italia? O la guerra di logoramento tra Lorenzo Bodega e Roberto Castelli in Lega? Chi non ricorda il congedo di Stefano Chirico e Gabriele Perossi dalla giunta Faggi e, a chiusura del cerchio (e un po’ anche a contrappasso), la processione finale dal notaio per far finire anzitempo il mandato della sindaca leghista?
Eppure, nonostante tutto, allora il centrodestra sceglieva e tesseva strategie. E vinceva, piuttosto spesso. C’era anzitutto la maturità politica di rinunciare a un candidato di bandiera per far leva su un certo “collateralismo”. Esempio calzante: nessuna delle due anime di Forza Italia (primo partito nel Lecchese) aveva interesse a far emergere un proprio terzo incomodo: molto più conveniente appoggiare un borgomastro leghista, restare in sella al partito e tentare un più profittevole condizionamento in giunta.
Ma non solo. Arrivava un punto di non ritorno nel quale ogni guerra cessava. Se l’obiettivo finale era vincere (e non sempre era così, vedi 2010) c’era anche la capacità di gestire il compromesso. Costi quel che costi.
La sensazione è che nel centrodestra odierno (lecchese, ma soprattutto regionale) manchi il senso di un limite allo strategismo esasperato. Le ragioni? Molteplici. Ma giunti al punto in cui siamo, conviene soffermarsi su una sola: il fatto che il partito di maggioranza relativa, Fratelli d’Italia, abbia evidentemente una classe dirigente locale e regionale ancora acerba e temporeggiante. Il che ha lasciato campo libero alla Lega (in minima parte), ma soprattutto a uno stillicidio di divisioni e arretramenti.
Tanto per essere chiari: l’operazione che ha portato alla candidatura di Carlo Piazza sullo scacchiere cittadino è, quantomeno, machiavellica. Ma la candidatura ormai c’è, da questo non si può prescindere. E la differenza di gestione tra la comunità politica di Mauro Piazza (che più o meno rappresenta la Lega, ma non solo) e Fratelli d’Italia è stata finora impressionante. Carlo Piazza ha inviato ai giornali più o meno una ventina di comunicati stampa in un mese e mezzo, è intervenuto su ogni tema dirimente in città, ha incassato il sostegno (con allegato selfie) di ministri, governatori e parlamentari del Carroccio. E Fratelli d’Italia? Come è stato possibile pensare che Filippo Boscagli potesse fare da solo tutta la strada fino alla candidatura? O, peggio, che la strada iniziasse solo dalla candidatura in avanti?
Prendiamo il caso Mantova. Due soli capoluoghi lombardi vanno al voto nel 2026: a Mantova la volta scorsa è finita 70 a 20 per il centrosinistra. A Lecco, praticamente pari. Fratelli d’Italia è primo partito e avrebbe diritto a fare la prima mossa. E che fa? Propone il candidato per Mantova. Tempo qualche giorno e Salvini arriva a Pradello e, ovviamente, dice che a quel punto Lecco spetta alla Lega. Un autogol, quello dei meloniani lombardi, degno di Comunardo Niccolai.
A questo punto, la situazione sfiora il grottesco. Resterà tutto fermo fino alle elezioni provinciali del 24 gennaio. Sulle quali, tuttavia, pesa eccome la rotta di avvicinamento del centrosinistra alla proposta “laica” dei civici rusconiani. Ma supponiamo comunque che sia Alessandra Hofmann a vincere. Qualcuno in FdI avrebbe davvero il coraggio di chiedere a Boscagli di riprendere la traversata nel deserto che lo hanno spinto a compiere in solitaria da oltre quattro mesi?
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