Il diritto all’errore gli odiatori sui social

Prenderlo a legnate e fargli pagare l’uscita delle ambulanze». «A legnate, subito. E bocciato». «Figli di sberle mai prese, e pure i genitori». «Mandateli a lavorare questi dementi».

Sono alcuni dei commenti social (poi censurati dalla pagina Facebook di questo quotidiano) che hanno riguardato la notizia di settimana scorsa, l’emergenza mattutina al Bertacchi e il soccorso a diversi alunni e docenti a causa di uno spray al peperoncino. Spruzzato, è stato poi chiarito, da una ragazza in difficoltà. Per la quale, ha comunque ribadito con estrema tempestività e correttezza la preside, sarà applicato il regolamento disciplinare in vigore (niente di più, niente di meno) e stimolando soprattutto una seria riflessione “sul senso di responsabilità e sulle possibili conseguenze delle azioni”.

Fin qui la cronaca. Ma poi, come detto, ci sono i commenti. Viene spontaneo domandarsi a che titolo possa parlare chi inneggia a legnate, a punizioni corporali, a reclusioni, a esili permanenti dalla ristretta cerchia della società civile. Si potrebbero rovesciare contro di loro gli stessi argomenti e toni dei vomitanti bile. Ma in fondo equivarrebbe a dar ragione a loro e affermare tra le righe che c’è sempre una voce più forte, una frase più urlata, una parola più crudele e definitiva con la quale marchiare a fuoco un errore.

Ecco, sì, errore.

Perché è un errore spruzzare spray al peperoncino in una classe scolastica, ma non è un errore essere fragili, e forse spaesati e confusi. Per quello, al contrario, serve aiuto. Ed è una colpa compiere una stupidaggine, ma non lo è la tortura di dover assistere pietrificati alla slavina imprevista delle proprie azioni. Come lo sono, ad esempio, cinque ambulanze e l’onda mediatica che seguono un istante di colpevole superficialità. Per quello, al contrario, serve ancora più aiuto. Occorrerebbe, sempre e comunque, dosare con grande delicatezza i giudizi che riguardano le categorie umane dell’errore e della colpa. Per infinite ragioni. Anzitutto, perché parlare di errore e colpa impone anche di valutare il grado di volontà che le precede. Ed è una parola. Significa gettarsi con tutta la mobilia dentro il guazzabuglio di un’anima (o una mente, come più aggrada) e dei suoi pensieri, delle aspettative disattese e magari delle emozioni che deformano un’istante di realtà.

Una vicenda davvero spinosa, che riesce difficile a perfino alle pinze di professionisti del pensiero. Figurarsi ai latrati dei social.

E poi, discettare di errore e colpe significa pure aggiungere un sasso alla personale cesta che ciascuno di noi si carica sulle spalle. Vai a sapere quanti ciottoli di colpa sono già stati scaraventati addosso a bella posta. Tanto per chiarirci, parliamo della forma di ricatto morale più diffusa ed efficace del nostro tempo. Altro che tanti sberleffi alla religione e alle indulgenze prezzolate di cinque secoli fa. Parliamone oggi, qui e ora, nel terzo millennio. Di quanti narcisisti colpiscono e affondano grazie all’altrui senso di colpa. Di quanti amori finiscono, di quante ustioni infantili maturano all’ombra di sensi di colpa. E si vorrebbe buttarne addosso altre, per puro spirito di competizione?

Infine, ci sia consentito ricordare che la vicenda del Bertacchi dice qualcosa anche del nostro vituperato mestiere. I giornali, i giornalisti. Esistono regole deontologiche che tutelano i minori, il loro diritto (ebbene sì, diritto, occhio a non rovesciarsi dalla seggiola) a sbagliare senza restare indeterminatamente esposti al giudizio e al risultato del loro sbaglio.

Esistono regole deontologiche che tutelano la fragilità, anche nelle sue forme più violente e contraddittorie. Anche quando la vittima è in realtà un colpevole. Talvolta si sbuffa, si strepita, ci si domanda perché il nome di quel delinquente (che forse lo è davvero e meriterebbe trattamenti di tutt’altro tipo) non viene sganciato, versato come obolo alla pubblica lagnanza. Ecco, per una volta, è possibile fornire una risposta plastica e diretta. Il motivo sono esattamente le parole con cui si apre questo editoriale. Perché questi starnazzatori di professione l’avrebbero fatta a pezzi, quella ragazzina. Lei, la sua fragilità, la sua azione stupida, la sua vita, il diritto a trovare risorse umane ed emotive per oltrepassare il proprio errore. E nessuno, tanto meno questi odiatori social, merita un simile potere sul prossimo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA