M’interrogo se sia più originale scansare il Natale e liquidarlo come un fenomeno sempre più pagano, scristianizzato, materialista o se, in questi tempi segnati dalla morte delle menti e dei cuori, non valga la pena di un ritorno alle sue origini per sperimentare se, in un esercizio di poche righe, si possa condividere con i soliti 25 lettori manzoniani quel desiderio di rinascita, di un soffio, di un nuovo umanesimo capaci di farci ritrovare segni di vita. Conciliare il sacro e il profano è la collaudata ricetta delle festività (e non delle feste) e, pure volendo evitare la quasi inesorabile caduta nel moralismo, provo a imbastire due pensieri semplici anche se sono sempre stato diffidente verso il buonismo di maniera. Dirò allora che mi piacerebbe vedere negli occhi dei lecchesi, come dei cittadini del mondo, una sete di luce più che di luci: viviamo nelle tenebre e senza scomodare angosce planetarie (ma un recente saggio della scrittrice Sofia Cecinini ricorda che divampano 31 guerre) è inevitabile che si vada alla ricerca di quel baluginio in grado almeno di evitarti di brancolare nel buio sia nelle stanze del potere, sia nella cucina di casa.
Affetti dalla solita miopia che limita lo sguardo all’orto (la sensibilità a chilometro zero) non siamo in grado di cogliere come non debba essere la paura dell’atomica a nutrire il nostro futuro, bensì la capacità di ritrovare quell’atomo di generoso altruismo depositato in fondo all’animo di ciascuno di noi.
Anche, se non soprattutto, il non credente è ammesso al tavolo del cristianesimo e perciò il Natale è la più ghiotta opportunità, forse l’unica, perché crollino muri, diffidenze, rancori, anche fosse solo per un armistizio di qualche ora.Sarebbe un esperimento magari utile anche per i giorni, gli anni a venire. Non saprei da che parte cominciare se non con il riconoscere che la preghiera del credente e l’indignazione del laico hanno lo stesso diritto di cittadinanza, se non lo stesso valore. La retorica è sempre in agguato, specie quando la si vorrebbe accuratamente evitare e so di esserci cascato, ma mi avvalgo del bonus sincerità che per uno che si occupa di politica da mezzo secolo è un sacrificio assai più arduo del digiuno del venerdì. Mentre mi scuso per il vezzo e il vizio di attingere alle mie esperienze personali (col pretesto che sono almeno autentiche) torno “peccatore” affermando che soffrendo di moltitudine mi rendo conto che il Natale è una formidabile occasione comunitaria, ma che non reputo abbia la sua incoronazione nel rito della messa di mezzanotte. Laddove l’eucarestia si consuma tra le pellicce e il presepe inventato da San Francesco d’Assisi nel 1223 non è un ossimoro rispetto al trionfo dei capponi, della frutta secca, dell’insalata russa, dei panettoni e degli agnolotti.
Ma perché sto a lambiccarmi il cervello quando padre David Maria Turoldo, un amico della nostra terra, ci conduce per mano: “Fratello ateo, nobilmente pensoso, alla ricerca di un Dio che non so darti, attraversiamo insieme il deserto. Di deserto in deserto andiamo oltre la foresta delle fedi, liberi e nudi verso il Nudo Essere e là dove la parola muore abbia fine il nostro cammino”.Non sto camminando sulle nuvole o nell’etere e mi faccio cronista per documentare che a Lecco si spendono a Natale 148 milioni di euro, 95 dei quali solo per i banchetti.
L’ultimo dei miei scrupoli è di fare i conti in tasca a chi, spesso sull’onda della tredicesima, si permette leccornie, inavvicinabili nella mensa quotidiana, ma non dimentico che cresce la fascia di coloro che dovranno accontentarsi di un piatto di lenticchie elargite dal volontariato nelle sue molteplici espressioni. Invece dell’augurio tradizionale, codificato da un lessico famigliare, azzardo a rivolgermi alle nostre lettrici e lettori con un impegno morale che da sempre mi appartiene con alterne fortune, tradito da amnesie e diserzioni e che consegno nella forma originaria: “Facciamo in modo che nessuno passi accanto a noi inutilmente”.
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