Il ricordo del giudice Rosario Livatino

Il 21 settembre 1990 richiama alla memoria il vile attentato di mafia in cui 35 anni fa perse la vita il magistrato Rosario Livatino. Quel giorno alle ore 8,30 del mattino il giudice (denominato “giudice ragazzino” per la sua giovane età), si stava recando nel Tribunale di Agrigento alla guida della sua vecchia Ford Fiesta quando la sua auto senza scorta fu speronata da un’altra vettura sulla quale viaggiavano quattro sicari della Stidda, organizzazione mafiosa contrapposta a Cosa nostra. Livatino, ferito ad una spalla da un colpo di pistola, tentò disperatamente la fuga attraverso i campi ma fu raggiunto e ucciso senza pietà. Le sue ultime parole mormorate ai suoi carnefici furono: “picciotti, cosa vi ho fatto…”

Livatino per dieci anni aveva inferto tanti colpi alla criminalità organizzata. Non era un giudice minore o di periferia. Collaborava anche con Giovanni Falcone cui aveva consegnato nel 1986 le trascrizioni delle intercettazioni captate ad un mafioso che dieci anni prima di Buscetta avevano portato a scoprire struttura e organigrammi di Cosa nostra agrigentina.

“Il 21 settembre 2025 è un anniversario che interpella le coscienze di quanti hanno a cuore la difesa della convivenza civile”, ha dichiarato il Capo dello Stato Sergio Mattarella. Livatino fu ucciso per la sua instancabile attività di magistrato contro la Stidda, per il suo rigoroso lavoro di indagine e per l’applicazione di misure patrimoniali contro i clan, che lo avevano reso un bersaglio e un ostacolo da eliminare. Egli si occupò di complessi processi di mafia. Fu sempre guidato nel suo lavoro dal rigoroso rispetto delle norme, delle procedure e delle persone. Una volta rimproverò severamente un carabiniere che stava esultando per l’uccisione di un mafioso ad opera di altri mafiosi ricordandogli che “di fronte alla morte, chi ha fede prega e chi non ha fede tace”.

Rinunciò, pur cosciente del rischio, sia alla scorta che all’auto blindata. Diceva “non posso coinvolgere padri di famiglia nel mio destino”. Papa Francesco aveva parlato nel 2019 di Livatino come di “un esempio non solo per i magistrati, ma per tutti coloro che operano nel diritto, per la sua coerenza tra la sua fede, il suo impegno di lavoro e l’attualità delle riflessioni”. Nel 2020 Papa Francesco autorizzò il riconoscimento del “martirio” di Livatino, ucciso “in odio alla fede”. Anche uno dei killer ha testimoniato che si decise di uccidere Livatino per la sua rettitudine di uomo giusto e legato alla fede. I mafiosi lo chiamavano con disprezzo “santocchio”, bigotto perché frequentava le parrocchie di San Domenico a Canicattì e di San Giuseppe ad Agrigento.

Come decise Benedetto XVI per don Puglisi il riconoscimento del martirio porta direttamente alla beatificazione, senza bisogno di un “miracolo per intercessione”, perché la mafia per la Chiesa viene considerata un fenomeno anticristiano. Comunque, la conversione dei suoi assassini è il primo miracolo di Levatino. Un altro, attribuito all’intercessione del giovane magistrato, riguarda l’inspiegabile guarigione nel 1996 di Elena Valdetara Canale, affetta da un linfoma di Hodgkin diagnosticato nel 1993, che secondo i medici l’avrebbe condotta alla morte in meno di due anni. La donna aveva ricevuto una visione di lui in sogno, in cui le diceva: “la forza di guarigione è dentro di te”.

La sua vita è stata un esempio di coraggio, integrità morale e dedizione alla giustizia, unendo i principi della sua fede con il servizio alla comunità. E’ stato il primo magistrato proclamato beato nella storia della Chiesa il 9 maggio 2021.

Nell’agenda di lavoro aveva scritto “STD”: Sub tutela Dei (sotto la protezione di Dio), sigla che riportava su ogni documento che firmava. La sua frase più famosa è la seguente: “Quando moriremo, non ci verrà chiesto se siamo stati credenti, ma se siamo stati credibili”. E credibile lo fu fino alla fine, tanto da dire in un convegno che il giudice non doveva solo essere ma anche apparire indipendente, al fine di guadagnarsi la fiducia dei cittadini e convincerli a denunciare.

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