La manovra che finisce per favorire chi ha di più

L’ultima manovra economica del governo, stando al giudizio di Bankitalia, Istat e Ufficio parlamentare di bilancio, ricorda da vicino la filosofia degli osti nei «Promessi sposi»: equidistante tra poveri e ricchi, ma con un ginocchio leggermente piegato verso i secondi. Così la descriveva Manzoni, e così pare averla adottata il governo: un equilibrismo prudente, più utile alla quiete dei mercati che al sollievo dei cittadini.

Chiamarla «manovra» è un po’ pretenzioso. Sarebbe più giusto dire manovrina, manovretta, manovricchia: un esercizio di alta ragioneria per tenere buoni i tecnocrati di Bruxelles e i loro parametri, quelli che scompaiono per miracolo quando si parla di spese militari. Dentro ci sono provvedimenti sacrosanti che per fortuna si mantengono – come l’assegno unico per le famiglie – ma anche molte promesse evaporate. Il Piano Casa, tanto sbandierato d’estate, è sparito. La riforma Fornero sulle pensioni, che doveva essere «cancellata», è stata invece inasprita: uscite più tardive, età pensionabile più alta. E Salvini, che un tempo invitava gli italiani a «spernacchiarlo» se non l’avesse abolita, oggi tace.

Inoltre tutti e tre gli enti concordano su un punto: la Legge di Bilancio 2026 «incide poco sulle diseguaglianze».

La misura di punta, il taglio di due punti della seconda aliquota Irpef dal 35% al 33% per i redditi tra 28 e 50mila euro, riguarderà circa 14 milioni di contribuenti, con un beneficio medio di 230 euro annui netti, 19 euro al mese: poca cosa, insomma, una pizza (Margherita) e una birretta con il coperto. Oltretutto, come spiega l’Istat, oltre l’85 per cento delle risorse andrà alle famiglie più ricche (ricche si fa per dire, il concetto di «ricchezza», soprattutto in Italia, è molto opinabile, data anche l’entità degli evasori): quelle del quinto più alto della distribuzione del reddito incasseranno in media 411 euro, contro i 102 euro delle famiglie più povere. In termini relativi, per tutte le classi sociali il guadagno sul reddito familiare sarà inferiore all’1 per cento. L’inflazione in Italia per gli agroalimentari è pari al 3,6 per cento, per dire.

Il ministro dell’Economia Giorgetti, un fuoriclasse leghista molto apprezzato da Draghi, difende la scelta di tutelare i redditi medi. Ma come abbiamo visto si tratta di un provvedimento quasi simbolico, che oltretutto stride con la necessità di informare il sistema tributario alla progressività sancito dalla Costituzione (articolo 53). Ora si aspetta il solito assalto alla diligenza in Parlamento da parte delle varie lobby, anche se stavolta l’osso da spolpare non è un granché. Il titolare del Tesoro invita inoltre i parlamentari a «tenere conto degli effetti di spesa» prima di proporre emendamenti, ricordando che si tratta di una manovra da 18,7 miliardi — «le nozze con i fichi», come la definisce (senza aggiungere che il detto li definisce anche secchi) — con risorse ridotte ma in linea con i vincoli di Bruxelles e con l’obiettivo di garantire la sostenibilità del debito. E qui si potrebbe aprire un dibattito sulla necessità di sostenere un debito di per sé già molto sostenibile (non siamo certo come nel 2011) ben prima che le agenzie di rating lo promuovessero ulteriormente. Bisognerebbe ricorrere a Keynes ma lasciamo perdere. I ruoli sembrano quasi rovesciati: un governo «frugale» e una Banca d’Italia che invita a essere meno parsimoniosi, soprattutto con i ceti meno abbienti, che stanno soffrendo terribilmente. Via Nazionale, infatti, nei panni di Robin Hood, parla di una «variazione modesta del reddito disponibile» e precisa che i vantaggi fiscali si concentrano «nei due quinti più alti della popolazione». Anche le misure di assistenza sociale previste nel bilancio, osserva il vicecapo del Dipartimento Economia e Statistica, Fabrizio Balassone, «producono effetti modesti sui nuclei più fragili».

L’Ufficio parlamentare di bilancio è ancora più netto: 408 euro di risparmio medio per i dirigenti, 123 per gli impiegati, 23 per gli operai. Roba che neanche lo sceriffo di Nottingham. Il beneficio massimo si concentra tra chi guadagna oltre 50mila euro, vale a dire l’8 per cento dei contribuenti totali. Di tassa patrimoniale sui super ricchi, che in Francia infiamma il dibattito da mesi, non c’è traccia. La Corte segnala inoltre un possibile effetto collaterale della nuova tassa sugli affitti brevi: l’aumento dell’aliquota dal 21 al 26% potrebbe spingere molti proprietari a traghettare nel nero.

Dietro le cifre, resta il dato più amaro: 5,8 milioni di cittadini hanno rinunciato nell’ultimo anno alle cure sanitarie per mancanza di risorse, oltre un milione in più rispetto al 2024.

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