La nostra libertà si difende con l’Ucraina

Lo abbiamo dovuto imparare in fretta: con Donald Trump alla Casa Bianca, ogni giorno ha la sua pena. Tra progetti strampalati per il Medio Oriente, minacce di dazi a destra e a manca, pressioni folli, ma squadernate come se non lo fossero, per l’acquisizione agli Stati Uniti della Groenlandia, del Canale di Panama e perfino – tanto per non farsi mancare niente – del Canada. Un tragico caos. Alla vigilia della Conferenza sulla sicurezza europea, però, il focus si concentra sulla guerra tra Russia e Ucraina.

Venerdì a Monaco, presenti gli inviati americani JD Vance (l’attuale vicepresidente che in campagna elettorale ebbe a dire che a lui “del destino dell’Ucraina non importa un accidente”) e Keith Kellogg, emergeranno aperte differenze di vedute tra americani ed europei, ma più ancora verrà alla luce il maggiore paradosso di questa gravissima crisi. Un paradosso che riguarda i leader che vorrebbero gestire tra di loro, quasi fosse una questione privata, la soluzione di un conflitto che è stato scatenato sulla pelle di milioni di ucraini.

In sintesi. Putin ha grandissime ambizioni di natura imperiale, ma governa un’economia e più in generale un Paese ad esse inadeguato. Da solo, nonostante l’ostentata retorica da superpotenza che non è più da un pezzo, non è in grado di conseguire i suoi obiettivi, che richiamano davvero quelli genocidari del Terzo Reich che il nostro presidente Sergio Mattarella ha opportunamente richiamato in un suo recente discorso.

Trump, invece, ha a sua disposizione grandissimi mezzi, ma la sua visione strategica internazionale è a dir poco confusa. Ha vinto le presidenziali grazie ad alcune intuizioni esatte sul sentimento della maggioranza degli americani (rifiuto del pervasivo delirio ideologico wokista, preoccupazione per l’immigrazione clandestina, desiderio di un recupero della potenza economica nazionale e di evitare coinvolgimenti in guerre percepite come “lontane”), ma quando si occupa di questioni internazionali non sa andare oltre il riferimento al riflesso che le sue scelte avranno sull’opinione pubblica di casa sua. Quello di Donald Trump è un problema molto serio di incompetenza coniugato a una tendenza autoritaria.

Questo paradosso crea le condizioni per far ottenere a Vladimir Putin, manipolando Trump in sede negoziale, vantaggi enormi e insperati. Il dittatore di Mosca, sulle orme di Stalin, punta a una nuova Yalta, ovvero a qualcosa che vada ben oltre il già cospicuo risultato di metter le mani su parte dell’Ucraina. Putin, che non riesce a vincere la guerra nemmeno con l’attivo sostegno dell’Iran e della Corea del Nord, spera che Trump – che ambisce a passare alla Storia come un Grande Pacificatore, salvo rischiare d’incendiare l’intero mondo musulmano con le sue mosse irrazionali su Gaza – gli concederà per via diplomatica quasi tutto ciò che egli pretende da Zelensky con la forza: quattro province orientali ucraine che si è annesso illegalmente senza nemmeno occuparle in toto, la già incamerata Crimea, la restituzione della porzione della provincia russa di Kursk controllata dall’esercito di Kiev e l’impegno a rifiutare a ciò che rimarrebbe dell’Ucraina libera l’accesso alla Nato per “garantire la sicurezza russa”.

Questo sbilanciatissimo “piano di pace” americano, pressoché coincidente con le pretese di Putin, verrà presentato a Monaco insieme con la pretesa di Trump di ricevere da Zelensky metalli strategici per il valore di 500 miliardi di dollari in cambio della continuazione della fornitura di aiuti americani. Ma non è tutto, perché il vero obiettivo di medio-lungo termine di Putin è l’indebolimento del fronte orientale della Nato, composto da Paesi che vi sono entrati dopo il crollo dell’Urss avvenuto oltre trent’anni fa. Quello che il Cremlino spaccerà come “garanzie per la sicurezza russa” non è che la pretesa del ripristino di zone d’influenza di sapore novecentesco in Europa, che come in Ucraina andrebbero contro la volontà dei popoli coinvolti.

In questo senso, Monaco 2025 rischia di somigliare sinistramente alla Monaco del 1938 in cui una pavida Europa consegnò al Terzo Reich di Adolf Hitler la Cecoslovacchia che aveva promesso di proteggere in cambio di una pace che comunque non ebbe. Starà a noi europei dimostrare di aver imparato la lezione: oggi la nostra libertà si difende sostenendo l’Ucraina aggredita, anche se Trump l’abbandonasse.

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