La tragedia di Gaza e la farsa degli artisti

Gli intellettuali di sinistra sono meravigliosi. E se non esistessero sarebbero ancor più meravigliosi.

Loro, gli intellettuali di sinistra, hanno il pregio di non deluderti mai: saldi come una pietra d’angolo, inamovibili come la Rocca di Gibilterra, talmente adesi, coesi e protesi nelle loro granitiche certezze, nelle loro adamantine parole d’ordine da farti porre una domanda a metà tra l’esistenziale e il marzulliano: ma quanti appelli pro Palestina avranno firmato gli intellettuali di sinistra dagli anni Sessanta a oggi? Una lunga, infinita, serpentesca, fluviale cateratta di appelli. Appelli su appelli su appelli. Indignazione su indignazione su indignazione. Una pletora di appelli grondanti indignata indignante indignazione.

L’ultimo episodio, l’ennesimo di una serie estenuante, è proprio di questi giorni con tanto di marcia pro Pal nel pomeriggio di ieri fuori dal Palazzo del Cinema della Mostra di Venezia, appuntamento al quale ogni intellettuale di sinistra che si rispetti non può assolutamente mancare, e tanto di appello e appello bis contro i nazisti di Israele e richiesta perentoria di censura nei confronti di due attori, una israeliana filo Netanyahu e uno britannico attivo nella raccolta di fondi per l’esercito di Tel Aviv. E non manca un regista o una registessa, non manca un attore o una attoressa - sì, avete capito, i tipici attori italiani di mezz’età pencolanti tra la serie B e la serie C - non manca un commentatore, un analista, un opinionista, un grande inviato-editorialista, soprattutto, tutti con la verità in tasca, tutti con il ditino alzato, tutti con il trombone innestato, a ululare, a sbraitare, a catoneggiare e a scomunicare che, insomma, signora mia, questa catastrofe umanitaria è una vergogna.

C’è chi si dispera, c’è chi si flagella, c’è chi dice di aver perso il sorriso e la voglia di vivere - tutto vero: lo abbiamo sentito da una giovane attrice di serie D - al pensiero dei bambini morti a Gaza. Lo ha detto davvero. E con che viso contrito. Solo che non si capisce perché il sorriso non lo abbia perso neanche un po’ per i tremila bambini uccisi e i ventimila rapiti dai russi in Ucraina o per le centinaia di bambini ebrei squartati da Hamas o per la carestia - certificata dalle Nazioni Unite - causata dalla guerra civile che va avanti da due anni in Sudan e sta coinvolgendo 10 milioni di bambini, 4 milioni - sì: 4 milioni! - dei quali vittime di malnutrizione acuta e decine e decine di migliaia già morti, anche se è impossibile conoscerne il numero esatto: nel Darfur mancano gli efficientissimi certificatori di Hamas. Bene, se uno è sconvolto dalle catastrofi umanitarie - ed è giusto e commovente che lo sia - cos’hanno che non va i bambini del Sudan, vittime di una carestia che coinvolge 30 milioni di persone e di due fazioni armate che sparano ai civili? Sono poco alla moda? Non accendono la fantasia? Gli manca un hashtag à la page? Non hanno la kefiah in testa? O forse sono troppo “negri”, putacaso? O non sono i “negri” giusti? O forse i nostri intellettuali gramsciani manco sanno dov’è il Darfur?

Ora, il macello di Gaza è l’esito di un groviglio storico, dal 1948 a oggi, di una complessità talmente mostruosa che soltanto un cretino può risolvere pontificando su quello che ha ragione al 100% e quello che ha torto al 100%: questo si può dire solo in fiaschetteria al terzo giro di bianchi o in qualche talk show, che è pure peggio della fiaschetteria. Non è questo il tema. E’ chiaro? Non è questo il tema. Il tema è che gli appelli pro Pal degli intellettuali di sinistra non hanno niente a che fare con Gaza, Israele, il Medio Oriente, i morti di fame eccetera. Quegli appelli sono solo una posa. Una sfilata autunno-inverno. Un modo di essere. Una seduta di autocoscienza alla “Ecce bombo”. Una metafora rizomatica e grottesca del cialtronismo dell’intellettuale impegnato e del suo concetto di “rivolta all’italiana”, che in tempi non sospetti Alberto Arbasino, sapiente di gigantesca cultura e di ironia urticante, aveva definito come “immediatamente pecoreccia, condotta da anziani o da anzianotti a cui le istituzioni contestate sono sempre andate benissimo per decenni e andavano benissimo fino a mezz’ora fa”. Che genio. E non c’è manco bisogno di citare Flaiano o Longanesi. Quella dei nostri intellettuali di sinistra - che se li vedesse Pasolini, intellettuale vero, li prenderebbe tutti quanti a pedate nel sedere - è la classica estetica da divano, da salotto, da terrazza, dalla quale si sdottoreggia, si indica il giusto e lo sbagliato, il buono e il cattivo e si censura chi non si allinea con il pensiero conformista e fariseo del generone intellettuale, quello che se non firma l’appello del momento si sente un fallito. Date una scorsa ai nomi dei 757 firmatari del mitologico appello contro il commissario Calabresi e rabbrividite. Il tema è diverso, la vergogna identica.

Ed è proprio nei festival che avviene la catarsi collettiva del club degli intelligenti: si individua l’orco di turno - Trump a Cannes, Netanyahu a Venezia - e da lì parte il circo delle scomuniche. In questo caso sul tema delle catastrofi umanitarie, di cui tutti parlano, ma che sinceramente non interessano a nessuno. Salvo quella in Palestina. E’ la Palestina - e solo la Palestina - l’interruttore che accende l’indignazione progressista, perché simboleggia la rivolta contro il capitalismo, dà nuova linfa alla mitologia della resistenza partigiana alla dittatura del mercato, sbandiera la vergogna dell’Occidente razzista, sfruttatore e oppressore. Certo, quell’Occidente che tutti i cervelloni di cui sopra in pubblico schifano e insultano e sputacchiano, ma nel quale in privato sguazzano e magnano e sbafano, perché gli intellettuali di sinistra adorano il lusso e gli spot pubblicitari e i contratti milionari e la vita borghese e lo struscio in centro e le serate culturali a Villa Giulia con i loro libri pubblicati da Berlusconi. Altro che l’Iran e la sharia.

Gaza è una tragedia vera, per i palestinesi e per gli israeliani. Astenersi pagliacci, damazze e perditempo, per cortesia.

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