Landini e il quorum, la sfida impossibile

Non appartengo alla schiera snobistica ed elitaria di coloro che ritengono che il ciabattino non possa giudicare più in alto del sandalo o che per parlare di ippica si debba essere un cavallo o almeno un fantino, ma quando sento sproloquiare di politica tengo a mettere dei paletti.

Provo a chiarirmi: se si intende “mettere a posto l’Italia” senz’altra pretesa di scambiare quattro balle ( a Lecco c’è un cantone ribattezzato all’uopo ) sono ammesse le voci dell’ortolano e del professore, della casalinga e del prete, del barbiere e del farmacista, nella consapevolezza che non si vada oltre l’esercizio del “più e del meno”. Al contrario non esito a irritarmi davanti al sempre più fitto esercito dei professionisti e degli scappati di casa della politica : quelli che senza conoscenza, senza esperienza di vita e di campo pontificano mescolando nozioni succhiate dal biberon del multimediale mondo della comunicazione.

Il campione di questa razza è, per me, il segretario della Cgil Maurizio Landini che ha fatto della tonitruante sicumera la cifra della sua presenza sulla scena.Non temerebbe un faccia a faccia con Mario Draghi e in cuor suo rimpiange la scomparsa di Henry Kissinger perché avrebbe ambito a un confronto sull’America di Kennedy, Reagan, Obama fino a Trump, per tacere dei leader di partito che tratta come scolaretti.

Ora l’uomo della maglietta della salute, che porta come Agnelli l’orologio sul polsino, ha davanti a sé una impresa titanica : l’8 e il 9 giugno si voterà per 5 referendum ( sconosciuti ai più ); quesiti sul lavoro e sul diritto di cittadinanza che Landini si è intestato non trovando udienza nelle forze di sinistra che dovrebbero essere il motore del sì.

Non c’è osservatore che non preveda il fallimento inevitabile legato al quorum e allora è lecito chiedersi quale sarà il destino del sindacalista incapace di dire, semel in vita “questa non è materia per me”.

Walter Veltroni aveva scelto l’Africa come rifugio post sconfitta elettorale, Matteo Renzi minacció o promise di abbandonare il teatro della politica se il suo referendum costituzionale fosse andato a sbattere : i due figuri continuano a ballare su più piste, ben remunerati, e non mi illudo che il signor ‘pieno di sé ‘ lasci la piazza e i talk per la fabbrica.

L’assist per queste desolanti informazioni me l’hanno servito gli esponenti locali del centrodestra riuniti per preparare la sfida amministrativa del 2026. Come si sa, il voto a Lecco è slittato di sei mesi a causa del Covid e delle tipiche astruserie normative all’italiana con il risultato che chi governa prolunga la propria campagna elettorale permanente, mentre chi è all’opposizione deve accelerare e inseguire i tagli dei nastri e le opere e operette targate PNRR.

Eppure nonostante la scottatura dei trentun voti, decisivi nel ballottaggio, è stato evidente che la lezione non è bastata.

Dai vertici del centrodestra, tra litigiosità e personalismi, si fanno sempre più imbarazzanti le goliardate scomposte del giamburrasca Giacomo Zamperini.

Quello che si lanciò per fermare l’ambulanza diretta a Udine per consentire una buona morte a Eluana Englaro, rimasta in coma irreversibile per oltre dieci anni dopo uno schianto in auto. E protagonista di una battaglia etica, legislativa e soprattutto umana combattuta dal papà Peppino.

Ora, il consigliere regionale di fratelli di Italia segnala per episodi e sceneggiate napoletane che imbarazzano il partito della premier. Giorgia Meloni, riconosciuta campionessa della comunicazione, faticherà a tollerare comportamenti che nuociono a un partito già preso di mira per altri scivoloni di attori e comparse.

E a pensar male c’è anche chi coglie subdole forme di complicità con il nemico a costo di vanificare, per un tozzo di pane, la possibile rivincita.

Se le cose non dovessero stare proprio così la via della smentita dovrà essere trasparente, credibile, pubblica e soprattutto corroborata da fatti inequivocabili.

Per me le chat ammiccanti sono pericolose e ridicole, anche perché il gioco non può durare a lungo.

Smascheravano persino Giulio Andreotti.

Il centrodestra è a un bivio perché non basterà per vincere la spinta meloniana, tanto più che Lecco non ha una tradizione di destra, sin dai tempi di Giorgio Almirante.

Senza un programma valido e un candidato solido, il centrodestra non andrà lontano nonostante il replicante Mauro Gattinoni abbia le sue gatte da pelare : dopo aver cannibalizzato il PD ora si ritrova a fare i conti con una crescente e autorevole fronda interna, sì da rendere credible una terza via, vale a dire una candidatura e un progetto autonomo che nel segno di una rinascita della città chiami a raccolta chi ha ancora passione per la cosa pubblica e non sia disponibile a consegnare la città a partiti ai quali bastano ormai tre locali per contenere gli iscritti e da lì vorrebbero, sulle ali dell’astensionismo occupare le stanze dei bottoni.

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