Uno spettro si aggira per l’Europa, l’anti-europeismo. La notte del 31 dicembre 2001, tutte le nazioni europee festeggiarono l’avvento della moneta unica che rappresentava l’approdo di un percorso comunitario iniziato nel 1951 con l’avvento della Ceca, proseguito nel 1957 con la nascita della Cee e conclusosi con il trattato di Maastrict nel 1992.
Sarebbe opportuno rammentare che, in questo lungo processo, l’Italia è sempre stata protagonista insieme a Germania, Francia, Belgio, Olanda e Lussemburgo. Due conflitti mondiali a distanza di meno di trent’anni costrinsero le classi dirigenti di tali nazioni a prendere atto che la prosperità dei popoli nasce dalla cooperazione e non dall’antagonismo nazionalista.
Sia pure con tempi e modalità differenti, questi paesi iniziarono un lungo percorso democratico che vedeva nella Costituzione liberale e democratica la propria, solenne “grundnorm”, ossia, il fondamento costitutivo di un ordinamento giuridico fondato sui valori della libertà, della solidarietà e dell’uguaglianza. Per decenni, sono stati questi i principi che hanno caratterizzato il clima culturale dell’Occidente che vantava una peculiare capacità distintiva rispetto all’altra parte dell’Europa, quella dominata dall’impero sovietico con il quale nessuno degli Stati europei intratteneva, almeno ufficialmente, rapporti di tipo commerciale. Il blocco comunista si presentava come un mondo tetragono, chiuso e impermeabile ad ogni sorta di contaminazione: agli occidentali, esso appariva come un truce “orso ibernato”, giusto per citare la definizione di Alberto Ronchey. Democrazia liberale contro autocrazia, era questa la dicotomia che si disegnava nella mente di ogni cittadino occidentale. Urss, Cina, India, il mondo arabo, apparivano come mondi a sé stanti, dominati dal buio della dittatura, che usavano cinicamente l’ideologia o la religione per conculcare i diritti più elementari.
L’intero Occidente dimostrava grande solidarietà verso i dissidenti di quei regimi e guardava con disprezzo i sistemi autocratici perché la coscienza civile di tutti i cittadini era interamente permeata dei valori della democrazia liberale. Il crollo dell’impero sovietico rappresentò la prima tappa di quel processo noto come “globalizzazione” di cui sarebbe utile capire origini e implicazioni. La caduta del comunismo nell’Est europeo portò all’indipendenza di Stati che non esitarono a sperimentare un proprio percorso democratico con esiti, spesso, incerti e contraddittori. Il nostro paese, che fino ad allora rappresentava la “quinta potenza occidentale”, fu costretto a misurarsi in un mercato sempre più ampio il cui perimetro era destinato ad allargarsi a causa dell’ingresso di Cina, India, Brasile e Sudafrica.
La globalizzazione, pertanto, sortisce dalla volontà di questi Stati di entrare in un mercato, divenuto globale, nel quale la competizione diventava un’insidia destinata a disegnare nuove gerarchie nei rapporti di forza tra le nazioni, sia sul piano economico che sul piano commerciale e, finanche, militare. Andrebbe, quindi, ricordato che l’Unione europea nacque da una esigenza eminentemente difensiva, cioè come risposta ad un processo planetario che nessuno era in grado di fermare: se volete, come un “male necessario”, un vento nuovo della Storia, impetuoso e inarrestabile, che occorreva arginare con un approccio improntato alla cooperazione tra Stati. Pertanto, la moneta unica, alla quale i nazionalisti imputano l’impoverimento del cittadino, risultava necessaria per neutralizzare gli effetti devastanti della globalizzazione. Con un minimo di onestà intellettuale, ognuno dovrebbe sforzarsi di capire con quali esiti potremmo, oggi, immaginare il confronto sui mercati della nostra lira con il dollaro, con il rublo e con lo yen, posto che la forza di una moneta è data dal saldo della bilancia commerciale (cioè, dal rapporto import-export). Occorre, tuttavia, riconoscere che, durante la costruzione comunitaria, non sono mancati gli errori dai quali sono drammaticamente scaturiti quei rigurgiti nazionalisti che oggi vediamo all’opera in modo sempre più organizzato.
Sull’onda del trumpismo e del putinismo, una larga parte dell’Europa oggi non crede più alla democrazia. Può sembrare inverosimile che la cultura occidentale possa abdicare ai propri ideali ma è proprio così. Per questo, occorre sempre vigilare e ricordarsi del celebre monito di Victor Hugo: “Fate come gli alberi: cambiate le foglie, ma conservate le radici. Quindi, cambiate le vostre idee, ma conservate i vostri principi”.
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