L’aumento dei salari da solo non basta

Fino a qualche giorno fa ci si lamentava dell’overtourism. Da una settimana non si fa invece che parlare degli ombrelloni chiusi e delle spiagge vuote. C’è troppo o troppo poco turismo? Cominciamo dai dati. Non disponiamo ovviamente di numeri consolidati per l’anno in corso. Le previsioni sono, però, moderatamente ottimistiche: aumento degli arrivi (+3,4%), delle presenze (+2,1%), del mercato domestico (+5,5%), con una preferenza per le vacanze brevi. Sono invece disponibili i numeri degli anni passati, che sono molto eloquenti. L’Italia risulta posizionata in Europa in una situazione mediana. L’anno scorso i nostri concittadini che non hanno potuto permettersi una vacanza di almeno una settimana sono stati il 31%. Più di Francia e Germania, ma meno di Spagna e Portogallo. Un dato che comunque si rivela migliore delle serie precedenti. Soprattutto a partire da quello che nella memoria falsata dalla nostalgia dei mitici anni Sessanta il vero boom di vacanze, con le Cinquecento stipate e i bagagli ammassati ovunque, anche nel lunotto posteriore e sul tettuccio. Fu in effetti un salto prodigioso rispetto agli anni precedenti, ma erano pur sempre solo il 20% le famiglie che potevano godersi una vacanza, di regola nella gettonatissima Riviera romagnola.

Il trend da allora è stato sempre in crescita, anche negli anni più recenti, brusche oscillazioni a parte in concomitanza o con la crisi economica del 2014 e con l’epidemia del Covid (2020 e 2021). Conclusione: non è vero che si va meno in vacanza. Le ferie si fanno semplicemente in modo diverso: diverso nei tempi, nelle mete e nella durata della permanenza nella stessa località. Tutto ciò dipende dal cambiamento intervenuto sull’idea di vacanza. Sono apprezzati i saltuari intervalli dal lavoro, i lunghi weekend da dedicare a visite alle città d’arte o a luoghi dove vivere a contatto con la natura. Non sono più i tempi in cui la famiglia si permetteva una sosta una tantum all’anno, con al seguito i figli, rigorosamente verso lo stesso mare e la stessa spiaggia. Oggi in famiglia lavorano tutti (possibilmente) e le donne che lavorano preferiscono il viaggio alla sosta sotto l’ombrellone. I figli sono sempre più indipendenti e le ferie se le scelgono in autonomia.

Resta il fatto che le spiagge ad agosto sono (relativamente) vuote, soprattutto nelle località classiche della villeggiatura estiva. Su questo fenomeno incidono diversi fattori. A parte le ragioni sopra esposte legate al cambiamento delle preferenze dei vacanzieri, pesa certo la modestia dei salari italiani, fermi da oltre un ventennio. A penalizzare lunghe vacanze, però, incide più di tutto un dato strutturale. È il rincaro dei costi dei servizi legati alla ristorazione ben al di sopra dell’inflazione media nazionale. Nel solo ultimo anno sono cresciuti di oltre il 16%. Pesano poi la lievitazione dei valori degli immobili (e degli affitti) nelle località turistiche e soprattutto i costi che gravano su tutto il settore dei servizi, dove le economie di scala sono difficili da effettuare. Infine, anche se a pensare male si fa peccato (ma spesso non si sbaglia), si può insinuare che gli operatori turistici stanno approfittando dell’aumento della domanda per alzare i prezzi, in modo particolare dove godono di forti rendite di posizione.

Sono questi i fronti su cui soprattutto bisogna intervenire. A partire da un aumento dei salari. Purtroppo da solo l’aumento stipendiale non risolverebbe il problema. Anche con una crescita salariale del 10-15%, quale famiglia sarebbe in grado di affrontare la spesa per una settimana di vacanza agostana stimata nell’ordine di 5-6mila euro?

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