Bisogna tornare al 2014 per trovare una manovra finanziaria di dimensione contenuta come quella per il 2026. È una notizia buona o cattiva? Di positivo c’è che se non serve una manovra di aggiustamento ingente, vuol dire che i conti pubblici sono sostanzialmente in ordine e infatti a primavera usciremo dalla procedura di infrazione europea per deficit eccessivo.
È un bene anche che non ci siano nuove tasse generalizzate, salvo quella sulle banche di cui parliamo dopo, e che non ci sono neanche i drastici tagli di spesa visti in passato.
Le critiche si appuntano sul fatto che non promuove lo sviluppo, non aumenta il potere d’acquisto delle famiglie, non aumenta abbastanza le risorse per la sanità (e sempre secondo i critici ne destina troppe alla difesa).
Nel libro dei sogni, le leggi finanziare diminuiscono il prelievo fiscale e contemporaneamente aumentano i servizi e l’assistenza per i cittadini e sostengono gli investimenti delle imprese. Nel mondo reale, ahimé, non è così. Perciò crediamo che il saldo fra pregi e limiti di questa legge di bilancio abbia il segno più. Soprattutto perché le critiche di insufficiente spinta alla crescita riflettono una visione ormai superata: dopo oltre 60 anni di bilanci in disavanzo, qualcuno non ha ancora capito che lo stato deve aiutare l’economia non buttando soldi (che non ha, e fortunatamente non può più stampare) ma precostituendo le condizioni per il miglior funzionamento dell’economia: togliendo i vincoli normativi eccessivi, diminuendo la burocrazia e rendendo più efficiente la pubblica amministrazione, sostenendo la ricerca, l’innovazione e la promozione delle nostre imprese sui mercati esteri, realizzando infrastrutture importanti e mirate, non sperperando in migliaia di rotatorie e finte piste ciclabili.
Ma veniamo al pilastro principale delle entrate di questa manovra: l’aumento della tassazione su banche e assicurazioni. È un intervento brutto più nella forma che nella sostanza. Il prelievo a oggi stimato in 11 miliardi in 3 anni non mina la solidità patrimoniale degli intermediari né comporterà restrizioni all’offerta di credito o forme di rivalsa indirette sulla clientela.
Dal punto di vista dell’annuncio però è pessimo. Gli eufemismi a cui ricorre il governo per non parlare di tassazione degli extraprofitti tradiscono un forte imbarazzo. Si parla di contributo, di sforzo, di aiuto da parte di un settore che, oggettivamente e fortunatamente, oggi gode di buona salute. Si dimentica però che quando il sistema bancario era in difficoltà, sono state le stesse banche a cavarsi d’impiccio, senza ricorso a risorse pubbliche (tranne il caso MPS, poi risoltosi positivamente), e ciò anche se qualche disinformato pensa che sia stato il contribuente a salvare, per esempio.,Banca Etruria o la Popolare di Bari. Non aiuta a fare chiarezza associare la tassa alle spese per la sanità, agli stipendi per le forze dell’ordine o a qualche altra pur nobilissima causa. È un prelievo che va alla fiscalità generale e non si vede perché, né come, le banche dovrebbero farsi carico di pagare i medici o i Carabinieri. Non fa un buon servizio alla sua stessa causa chi minaccia ritorsioni contro le banche se protestano, paventando di aumentare di un miliardo il prelievo per ogni comunicato. Una tariffa invero piuttosto alta per un intervento, non immaginata neanche da Trump!
In conclusione, la manovra appare equilibrata e nei limiti di vincolo di bilancio, purtroppo ancora severi. Anche il fatto di far pesare le entrate sul settore finanziario, benché sgradito ai destinatari, altro non è che l’esercizio di una scelta politica. Prendiamola come tale e lasciamo stare gli eufemismi, i giri di parole e le connessioni, tanto suggestive quanto inappropriate, con specifiche finalità di spesa.
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