Mattarella, riportare l’Europa al centro

Ancora una volta il Presidente Mattarella ha indicato la via da seguire: «Il mondo ha bisogno dell’Europa. Per ricostruire la centralità del diritto internazionale che è stata strappata. Per rilanciare la prospettiva di un multilateralismo cooperativo», ha detto nel videomessaggio al Forum di Cernobbio. L’Europa non solo come scelta o vincolo per rimediare ai nostri guai, ma come necessità e responsabilità, quella “forza gentile” come si affermava un tempo, indispensabile “ammortizzatore geopolitico” per la comunità globale ora che ne è in gioco l’esistenza faticosamente costruita nel corso del ‘900 da quanti hanno creduto nella possibilità della pace e del benessere collettivo. Tra valori e rimandi storici, quello del Presidente è un appello umanistico a valorizzare ciò che ci ha distinto e che ha fatto del Vecchio continente un’area di pace e di cooperazione, senza mai aver scatenato un conflitto o uno scontro commerciale.

L’Europa, in sostanza, deve credere in sé stessa e non abdicare intellettualmente e moralmente, specie adesso che è stretta nella morsa dell’imperialismo di Putin e dell’unilateralismo bizzoso di Trump. E dove si profila il cedimento delle democrazie in parallelo all’espansione di potenza a tre fra Cina, Stati Uniti e Russia. Il rilancio del carattere dell’umano europeo è valido anche per riaffermare il bene comune e arginare – tema ricorrente nella pedagogia mattarelliana – lo «straripante peso delle corporazioni globali», il cui riferimento ci sembra rinvii all’invadenza del tecnocapitalismo.

La civiltà europea non è affatto un disvalore, per cui Mattarella si pone la domanda: perché mai dovremmo essere considerati un avversario, se non nemico, da (l’aggiunta è nostra) Putin e Trump, quando viceversa l’Ue dimostra come le alternative al radicalismo della contrapposizione e alle pulsioni disgregatrici esistano? Le parole del Capo dello Stato paiono in controtendenza rispetto al pessimismo cosmico, la moneta più corrente e a buon mercato, in un passaggio in cui l’Europa è al massimo di debolezza e inerzia dalla caduta del Muro di Berlino 36 anni fa. Disponiamo dei fondamentali per non soccombere «alla favola della superiorità delle autocrazie» e per non arrenderci a «regressioni non ineluttabili», però servono il coinvolgimento delle forze economiche e istituzioni più forti.

Il punto ricostruttivo è questo. Dinanzi a un accordo fra autoritarismi e all’idea che l’ordine globale non si negozi più solo in Occidente, l’Europa si frammenta, i vari leader sono costretti a compromessi al ribasso e passa lo standard autoconsolatorio del “meno peggio” come s’è visto con la reazione ai dazi punitivi di Trump e con la “diplomazia dell’adulazione” nei confronti del presidente americano che non ha portato a risultati.

Se gli Stati Uniti esportano instabilità, la Cina si offre al Sud globale come fattore di stabilità. E se Draghi ha strigliato l’Ue sul piano dell’irrilevanza geopolitica, Mattarella vi aggiunge l’apporto della storia e dei principi ispiratori, che restano al centro di uno sviluppo civile alternativo alla logica di potenza e del più forte.

C’è quindi la coscienza di riprendere in mano il proprio destino di soggetto politico, di restituire un pensiero mentre s’è aperto un vuoto di idee senza precedenti nell’attraversare un cambio d’epoca. Dopo un’estate difficile, l’Ue affronta l’autunno dello scontento. La Francia è in crisi politica ed economica, la Germania continua ad essere in stagnazione, la stella di Ursula von der Leyen non brilla e il suo secondo mandato è in salita: il 10 settembre la presidente della Commissione terrà il discorso sullo Stato dell’Unione e lì, senza farsi troppe illusioni, si capirà dove esattamente ci troviamo.

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