Nel risiko bancario ha perso il mercato

Nella partita fra Unicredit e Banco Bpm ha perso il mercato. Anzi, la partita non c’è proprio stata perché gli arbitri hanno fatto sì che non si giocasse. Troppe authority che devono concedere autorizzazioni, procedure troppo lunghe, poca chiarezza sui confini del golden power adottato dal Governo.

Così non sapremo mai se la proposta avrebbe incontrato il favore dei soci delle ex Popolari di Verona e Milano oppure se l’offerta di Orcel sarebbe stata rigettata dagli azionisti. Ecco perché il mercato ha perso: perché non ha potuto pronunciarsi. Ricapitoliamo. Il 25 novembre del 2024 Unicredit annuncia un’offerta di scambio per acquisire tutte le azioni di Banco Bpm, offerta subito rigettata dal consiglio di amministrazione della potenziale preda, ma questo non stupisce. L’offerta è soggetta a tutte le autorizzazioni del caso: Bce e Banca d’Italia, altre authority finanziarie e assicurative, antitrust italiano ed europeo, la Consob per l’approvazione del prospetto di offerta. Sin da subito si aggiunge alla lista anche il Governo che ventila la possibilità di esercitare il golden power, procedura che attiverà il 15 marzo. Il 2 aprile la Consob dà il via libera all’offerta che partirà il 28 aprile. Ma non è finita. Il 21 maggio la stessa Consob sospende l’offerta per 30 giorni a causa della scarsa chiarezza sulle prescrizioni del golden power; le prescrizioni sono contestate da Unicredit che le impugna davanti al Tar; Banco Bpm impugna la sospensione della Consob; il Tar accoglie parzialmente il ricorso di Unicredit; l’autorità per la concorrenza europea censura l’esercizio del golden power (per motivi diversi da quelli del Tar); martedì scorso la Consob sospende nuovamente l’offerta per l’incertezza del quadro informativo a disposizione degli azionisti e Unicredit che fa? Si ritira dalla partita. Sembra la canzone di Branduardi «Alla fiera dell’est». Ma la partita è solo rinviata, nel senso che l’offerta sarà rilanciata in futuro, oppure è annullata, come sembrerebbe dalle dichiarazioni di Orcel? Oggi non mi sentirei di escludere una nuova Ops in futuro, ma non è questo l’importante.

Il punto è che questa storia evidenzia due problemi. Primo: le procedure sono lunghe, farraginose, ridondanti, con competenze sovrapposte e anziché favorire il funzionamento del mercato, anche nell’interesse dei piccoli azionisti, genera confusione, paralizza la società target per periodi inaccettabili. Impedisce di fatto una sana e rapida dialettica fra le parti: chi propone l’offerta e chi detiene i titoli. Intanto i prezzi schizzano in borsa oppure si sgonfiano, qualcuno ci guadagna e qualcun altro ci perde. Non va bene. È sano che le società, di ogni settore, non solo le banche, cerchino di acquisirne altre con proposte al mercato, facendo offerte che, a differenza di quelle del Padrino, si possono accettare o rifiutare. Ma le società interessate non possono restare paralizzate nell’incertezza per molti mesi.

Il secondo problema è anche più grave: la politica anziché fare rispettare le regole del gioco, come un buon arbitro, è scesa direttamente in campo facendo capire per chi tifa. Poi ha brandito lo strumento del golden power che molti hanno da subito giudicato inappropriato. Ma cosa è il cosiddetto golden power? È un insieme di poteri speciali attribuiti al governo da una norma del 2012, per bloccare, condizionare o annullare operazioni societarie che potrebbero danneggiare gli interessi strategici del paese. È nato per evitare che mani straniere potessero impadronirsi di aziende italiane rilevanti per i servizi pubblici, per la sicurezza o per altri aspetti rilevanti della vita del Paese. Poi è stato esteso anche alla finanza, perché il risparmio è una risorsa strategica.

Ma perché applicarlo all’offerta di una banca italiana su una banca italiana? Si disse che il motivo era la rilevante presenza nel capitale di Unicredit di fondi e altri investitori stranieri. Anche Banco Bpm ha soci stranieri, fra cui i francesi di Credit Agricole che nelle more della procedura si sono pure allargati dal 10 al (quasi) 20%. Ecco il risultato: nel tentativo di difendere una banca italiana da un’altra italiana, abbiamo lasciato rafforzare una banca straniera in quella che volevamo proteggere. Un chiaro caso di eterogenesi dei fini. Si dirà: anche il governo tedesco scende in campo contro la scalata di Unicredit a Commerzbank: e infatti sbaglia anch’esso.

In conclusione, riprendendo la metafora calcistica, non serve un numero pletorico di arbitri, ma pochi, capaci e imparziali. E, magari con l’aiuto della Var, rapidi nel decidere.

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