
La protesta degli avvocati, che per tre giorni si asterranno dalle udienze per contestare il nuovo Decreto Sicurezza, non solo alza il velo su una condotta funambolica, sulla quale giuristi e professori di diritto hanno rilevato profili di incostituzionalità, ma punta anche il faro su una concezione della pena sempre più «carcerocentrica» e sempre più distante dalla realtà. Molto si è scritto sulla spregiudicatezza di procedere per Decreto su un tema così delicato, cancellando di fatto mesi di iter parlamentare (durante i quali non erano mancate le critiche, anzi). Meno si è detto sul merito del dispositivo, che introduce una serie di nuovi reati e, rispetto ad alcuni già esistenti, aumenta i termini della detenzione in carcere. Misure adottate in coerenza con quella che è stata, fin dall’inizio, l’impronta di questo governo, che a più riprese ha sostenuto l’idea che pene più severe sono la migliore risposta al deficit di sicurezza della società.
Solo che questa volta, forse complice la fretta, verrebbe da scrivere che si travalica il semplice buon senso, se non fosse che si tratta di leggi destinate a incidere drammaticamente nella vita delle persone. Qualche esempio: potranno essere puniti con 5 anni di carcere i detenuti che fanno resistenza passiva in carcere (per esempio, l’astinenza dal vitto): la condotta di chi protesta senza essere violento, potrà essere equiparata a quella di coloro che lo fanno in modo violento. Viene introdotta l’aggravante per i reati commessi nelle vicinanze delle stazioni ferroviarie (senza specificare che cosa significa quel «nelle vicinanze»): secondo questo principio, ci saranno pene diverse per lo stesso reato, a seconda di dove sia stato commesso. Inoltre il reato di occupazione di domicilio viene punito fino a 7 anni di carcere, contro ogni criterio di proporzionalità. Infine, viene data facoltà al questore di vietare l’accesso al trasporto pubblico a denunciati o condannati, anche con sentenza non definitiva, nel corso dei cinque anni precedenti (contro ogni principio di presunzione d’innocenza). ll testo nel suo complesso prevede l’introduzione di 14 nuovi reati, l’aumento di pena per 9 reati e l’introduzione di svariate aggravanti.
Garantiranno maggiore sicurezza? La risposta del presidente dei penalisti italiani, Francesco Petrelli, intervistato dal Foglio, non lascia spazio a dubbi: «Nessuno dei nuovi reati e nessuno degli spropositati aumenti di pena contenuti nel decreto Sicurezza modificheranno qualcosa sotto il profilo della sicurezza reale». L’effetto più immediato sarà quindi quello di riempire ancora di più carceri già al collasso, dove il sovraffollamento è l’ostacolo principale agli sforzi per garantire pene più giuste, e quindi più efficaci: garantendo lavoro ai detenuti, per esempio, il tasso di recidiva crolla al 2%; senza nessun tipo di trattamento, invece, la probabilità che chi esce torni a delinquere sale al 70%.
Ma non è solo una questione di sicurezza reale e percepita, o di differenti sensibilità rispetto ai principi costituzionali. C’è anche dell’altro, qualcosa che ha a che fare con un destino comune ancora tutto da costruire. «Non so perché loro sono in carcere, e non io» ha detto in una delle sue visite in carcere Papa Francesco, voce inascoltata nella richiesta di un gesto di clemenza, cosciente del fatto che solo un provvedimento deflattivo della popolazione carceraria può essere in grado di restituire umanità alla pena. Nei suoi ultimi giorni di vita non ha voluto mancare l’appuntamento a Regina Coeli per celebrare il Giovedì Santo con i detenuti. L’eredità di Francesco passa inevitabilmente anche dai corridoi e dalle rotonde del carcere. Alla politica ha lasciato una grande eredità civile, che passa dalla sfida per costruire un nuovo umanesimo, che in pochi purtroppo hanno saputo o voluto cogliere.
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