Pontida mutazione genetica della lega

Per capire il raduno della Lega a Pontida, domenica, bisogna leggere con attenzione la recente intervista di Matteo Salvini al “Corriere della Sera”: è indicativa per quel che afferma e per ciò che omette.

Collegandosi all’omicidio di Charlie Kirk, dice che al tradizionale appuntamento interverranno alcuni giovani e opinionisti: «Sarà la prima volta a Pontida, ma questa sarà una Pontida diversa da tutte le altre. Nulla sarà come prima». Dunque, cambia pelle anche la kermesse della nostalgia, l’acceleratore delle emozioni lumbard che già da tempo ha perso gli aspetti più eccentrici del ruspantismo bossiano e pure la sostanza squisitamente nordista: meno Gianfranco Miglio, il teorico del primo leghismo, e più Marine Le Pen e Orban come da presenza sul pratone nelle scorse edizioni. Non ci sono cenni al federalismo e anche Giorgia Meloni, parlando di riforme, ha citato solo premierato e giustizia. Ci sono invece un riferimento a Vannacci, «valore aggiunto», e un rinnovato fiancheggiamento di Trump e Bolsonaro, due personaggi che – al di là di ogni altra critica considerazione – sono in rottura costituzionale con i principi istituzionali dei loro Paesi.

L’impressione, salvo errori, è che Salvini intenda chiudere il capitolo della vecchia Lega e stabilirsi definitivamente là dove vanno pezzi significativi del mondo europeo e in genere occidentale: la destra più radicale. Non è una buona notizia, ma si dirà: dove sta la novità? Risiede nella definizione, in modo più compiuto del solito, di un impianto ideologico in sintonia con i partiti più estremi, scommettendo sulla lunga durata di una deriva che non può più essere considerata una pausa della storia. Lo fa nel contesto della crisi in Francia e del nuovo balzo di una destra impresentabile in Germania, trascurando al contempo le nefandezze di Putin e i guai del trumpismo.

Ma sono proprio le difficoltà dei nostri due partner a dimostrare invece come la tenuta o l’arretramento dello Stato di diritto dipendano dalla presenza o dall’assenza di un’area centrale al sistema politico e, sul piano sociologico, alla società civile.

La mutazione genetica della Lega procede sommando pezzi alla volta. La promozione a vice di Vannacci, che gioca di suo anche se è funzionale al disegno salviniano, ha segnato una forte discontinuità e un malessere fin qui contenuto, ma visibile (rinviamo alla dura reazione del solitamente compassato Fontana, governatore della Lombardia). In più la vicenda del Ponte sullo Stretto, un’altra cesura con il sentimento dello zoccolo duro leghista.

Il nordismo lombardo, che aveva le sue radici nella provincia profonda, ha meno potere e ha subito lo sfondamento del segretario, anche perché non ha aggiornato le parole d’ordine. Un universo che esiste ancora, però a bordo campo, ai margini di un mondo che racconta un’altra storia rispetto ai ruggenti anni ’90, quelli del mitico popolo delle partite Iva, del capitalismo molecolare e del tremontismo. Ieri erano la percezione di uno squilibrio fiscale ai danni del territorio e l’orgoglio dei piccoli produttori, che avevano fatto breccia anche in parti del Pd, mentre oggi è il Fondo monetario internazionale ad avvisare che i dazi americani morderanno soprattutto il Nord, là dove si concentra la capacità espansiva del Made in Italy. Parabola che si può raccontare anche con la coincidenza fra i danni prodotti dall’amico americano e il minor appeal del nordismo, cioè mentre la questione settentrionale sembra battere in ritirata, anche se Pontida ribadirà che non è affatto così. In più finisce l’era di Zaia, un nome che conta, il volto modernizzatore, la prima linea del nordismo insieme al ministro Calderoli che resta sul pezzo per rilanciare la legge sull’autonomia regionale differenziata. Con la Seconda Repubblica il Nord ha avuto maggiore peso politico, anche come capacità di dettare l’agenda, tuttavia oggi non pare in grado di produrre quella tensione politica premessa necessaria per dare vitalità al progetto. Come ha scritto l’economista Carlo Stagnaro sul “Foglio”, «la mobilitazione del Nord ha prodotto degli effetti, ma non dei risultati. Nell’attuale fase politica non sembra esserci spazio per la questione settentrionale: Roma ha riconquistato una centralità che non aveva da anni».

E infatti il romanocentrico Fratelli d’Italia, che non ha un governatore sopra il Po e che sembra privo di una consolidata elaborazione della questione settentrionale, attende in riva al fiume: non il Veneto, perché comunque va lasciato a Salvini, ma la Lombardia è già prenotata. Le pulsioni di Salvini trovano un limite nella premier, per motivi di competizione e perché deve governare: non si scopre a destra, con tutti i problemi che questo solleva, e nel mentre, in ragione della stabilità e dei conti pubblici a posto, recupera sul fronte moderato, un consenso d’opinione che giunge pure dai produttori del Nord. Pontida garantisce un supplemento di notorietà, oltre che cittadinanza ai sogni e alle parole in libertà. Però, a luci spente, il popolo del pratone dovrà pur chiedersi, nel tramonto di una certa idea di Lega, che cosa è diventato e dove lo stanno portando.

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