I cinque referendum popolari abrogativi (quattro sul lavoro e il quinto sulla cittadinanza) non sono stati approvati dagli Italiani in quanto ancora non è stato raggiunto il quorum richiesto dall’art. 75 – 4° comma – della Costituzione, il quale recita che “la proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi”. L’affluenza totale alle urne dei cittadini è stata infatti del 30,6%, lontana dal quorum richiesto, anche se i votanti hanno raggiunto la rispettabile cifra di 14 milioni.
Tale risultato induce a molteplici riflessioni perché nel corso degli anni sono emerse criticità quanto al referendum abrogativo. Innanzi tutto va rilevato che gli Italiani hanno per l’ennesima volta rifiutato di intervenire con il referendum su materie che non sono considerate di primaria importanza e sulle quali ha già legiferato il Parlamento.
I quesiti attinenti alla regolamentazione dei rapporti di lavoro introdotti con il Jobs Act di Matteo Renzi riguardano una materia in parte modificata e risalente ad una decina di anni fa, cioè ad un periodo in cui la disoccupazione era maggiore di quella attuale. Il quesito concernente la cittadinanza degli immigrati è invece oggetto di diverse proposte di legge in Parlamento da parte del centrodestra, soprattutto di Forza Italia, e anche del centrosinistra, per cui potrà in tale sede essere opportunamente riesaminata.
In ordine ai recenti referendum soltanto nel 2011 è stato raggiunto il quorum previsto con il 54,8 degli aventi diritto, ma si trattava di votare su materie importanti come il nucleare e l’acqua pubblica. Anche in passato si è raggiunto il quorum con percentuali abbastanza alte quando i cittadini sono stati chiamati a esprimere il proprio giudizio su materie altrettanto importanti come il divorzio, il finanziamento dei partiti, l’aborto, la scala mobile, la legge elettorale.
Ricordiamo che al referendum del 2 giugno 1946 sulla scelta tra monarchia e repubblica partecipò addirittura l’89% degli aventi diritto al voto perché la scelta sottoposta ai cittadini era molto importante in quanto si modificava la forma dello Stato con tutte le relative conseguenze. Il 2 giugno 1946 si svolsero anche le elezioni per l’Assemblea costituente, alle quali parteciparono quasi 25 milioni di votanti su 28 milioni di elettori, tra cui più della metà donne, che votavano per la prima volta ad elezioni politiche nazionali. Ma su 226 candidate e 556 costituenti, solo 21 furono le elette, le cosiddette donne costituenti.
Il 2 giugno è, dunque una data importante per gli italiani in quanto si festeggia la nascita della Repubblica, il ripristino della democrazia e l’avvio del percorso costituzionale, con la designazione dei Padri costituenti, che approveranno nell’anno successivo la Costituzione entrata in vigore il 1° gennaio 1948. Il successo del referendum di 79 anni fa dovrebbe insegnarci che il popolo va chiamato alle urne per esprimersi soltanto su grandi questioni.
Non bisogna, insomma, abusare dello strumento del referendum popolare. Teniamo conto che l’Italia ha il record delle consultazioni nell’Unione europea. Dal 1946 in Italia si sono svolti 83 referendum, più di uno all’anno, di cui 77 abrogativi, uno istituzionale, uno di indirizzo e 4 costituzionali. Mentre i tedeschi sono a quota tre, gli spagnoli a 5, i francesi a 10, i polacchi a 16.
Va osservato che la gente si mobilita solo sui grandi temi. Se si propongono temi molto tecnici la gente fa fatica ad andare a votare. C’è quindi il rischio che si innesti un senso di sfiducia nei confronti di un istituto che invece è sempre un esercizio importante di democrazia, quale che sia il suo esito. Per contrastare l’astensione verso un istituto che va difeso occorrerebbe abbassare il quorum e bilanciare ciò con l’aumento del numero di firme necessarie per la richiesta di referendum, tenuto conto che dal 2022 se ne è agevolata la proposizione consentendo la raccolta delle firme su piattaforma informatica. Ma ci vorrebbe una riforma costituzionale.
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