Sostegno all’ucraina con i partiti divisi

Il ministro della Difesa Guido Crosetto, tra i più vicini a Giorgia Meloni, ha dovuto fare una seconda intervista di precisazione a sole quarantotto ore da quella in cui aveva stroncato le parole del presidente francese Macron sulla possibilità di un intervento diretto degli europei sul suolo ucraino in caso di sfondamento russo.

Crosetto aveva rimproverato a Macron di innalzare la tensione invece di abbassarla, insomma di essere un po’ allarmista e azzardato. Nella seconda intervista invece il titolare di Palazzo Baracchini aggiunge due elementi che correggono il tiro: primo, che l’eventuale conquista russa di Kiev sarebbe «totalmente destabilizzante per l’Ue» e che nessuno ci garantisce che, una volta conquistata «tutta» l’Ucraina, Putin si contenti e si fermi, cosa di cui bisogna pur rendersi conto.

Secondo, che è ora di darsi una mossa con l’aumento della nostra spesa per la Difesa, la più bassa di tutta la Nato, l’unica che non raggiunge il target del 2% (nel 2024 si è fermata all’1,45, pari a 27,7 miliardi). Crosetto ha dovuto irrigidire la sua posizione per la ragione che, di fronte agli alleati, ai francesi, agli inglesi, agli americani, il coro che si è levato dalla politica italiana su un impegno diretto in Ucraina (il £noi no, mai!” detto da Tajani e Salvini) non è il modo migliore per pensare di contare qualcosa e, tra l’altro, di accogliere domani il segretario generale dell’Alleanza Stoltemberg che viene a dire a Meloni che il 2028 è un po’ troppo lontano per pensare di raggiungere a quella data l’aumento delle spese militari.

La verità è che il governo italiano, alle prese con una coperta troppo corta nei conti pubblici, non può presentarsi ai prossimi vertici internazionali - essendo peraltro presidente di turno del G7 – con un sostegno all’Ucraina che sì, è sempre stato coerente, ma che adesso si mostra titubante proprio mentre il fronte atlantico deve mostrarsi compatto. Il problema vero, dal punto di vista politico, è la posizione della Lega. Salvini, per criticare la dichiarazione di Macron, ha parlato di «un presidente pericoloso o disperato» ripetendo ancora una volta – ormai lo fa tutti i giorni – che lui è per la pace, per la diplomazia, non per la guerra, ecc. Nessuno sa in queste condizioni, se la maggioranza che regge il governo italiano rimarrebbe solida di fronte ad un reale, non solo ipotizzato, aumento della tensione tra Ue-Nato e Russia.

Ma c’è anche l’altro fronte, quello dell’opposizione, che potrebbe disgregarsi. Elly Schlein, che finora ha mantenuto una posizione chiara sull’invio delle armi, ha tuttavia costruito delle liste elettorali per le europee di giugno con ben due capilista – l’ex direttore di Avvenire Marco Tarquinio e la figlia di Gino Strada, Cecilia – che dicono chiaramente che, se fossero parlamentari nazionali, voterebbero contro l’invio di armi agli ucraini, la stessa posizione assunta dal romano Paolo Ciani, esponente della Comunità di S.Egidio, da Arturo Scotto, da Laura Boldrini e da tutta la pattuglia della sinistra interna.

Nel Pd insomma cresce la componente «pacifista», con posizioni assai simili a quelle di Giuseppe Conte e del M5S.

Tutti loro sono contrarissimi non solo ad un maggior impegno italiano ma anche all’aumento della spesa per gli armamenti invocata da Crosetto e richiesta dall’Alleanza e dagli americani. Di fronte a un pericolo che rischia di crescere ogni giorno di più, emergono le contraddizioni nella maggioranza e nell’opposizione, impegnate in una campagna in cui riceveranno il giudizio degli elettori sulle loro posizioni e sui voti che hanno espresso in Parlamento.

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