La telefonata tra Emmanuel Macron e Vladimir Putin è stata accolta come una piccola svolta diplomatica, complice il fatto che i due avevano interrotto ogni contatto da più di tre anni.
Ma se uno volesse davvero “leggere” ciò che i due si sono detti, dovrebbe trarre la conclusione esattamente opposta: questa telefonata non ha aperto nuove porte, semmai ne ha chiuse di vecchie. Macron ha ribadito «l’inesauribile sostegno» all’Ucraina e ha chiesto un cessate il fuoco. Putin ha replicato che il cessate il fuoco non ha senso senza un accordo sulla sicurezza di più ampio respiro che «tenga conto della realtà sul terreno».
Tradotto dal politichese in italiano, questo significa che, almeno nella testa dei due leader, che lo ammettano o no, la situazione odierna è l’esatto opposto di quella che accompagnò, nel 2022, il primo abbozzo di trattativa (poi fallita) prima in Bielorussia e poi in Turchia. Allora la Russia aveva fallito la prima spallata, Zelensky non aveva lasciato l’Ucraina e anzi aveva organizzato la resistenza, e il Cremlino aveva bisogno di una pausa per riorganizzarsi. Come sappiamo, non la ottenne.Ma sono ormai passati tre anni e tante altre cose sono successe. Oggi la situazione è in sintesi questa. I russi hanno messo sotto controllo il 100% della regione di Lugansk, che dallo stato di territorio “occupato” sta passando a quello di territorio “annesso”. Su tutto il lunghissimo fronte l’iniziativa è dei russi e i colpi pur spettacolari e ammirevoli portati dagli ucraini (esempio tipico l’attacco a sorpresa contro gli aeroporti militari russi) servono più al marketing politico interno ed esterno che a rovesciare l’andamento delle operazioni. I missili e i droni russi colpiscono sempre più spesso e sempre più crudelmente i grandi centri industriali dell’Ucraina.
L’avanzata russa ha portato sotto il controllo del Cremlino il giacimento di Shevchenko, uno dei più grandi depositi di litio d’Europa, cosa che potrebbe tentare Donald Trump a trattare le sue pretese minerarie con Mosca e non più con Kiev. E poi altri fatti collaterali che però la dicono lunga sullo stato delle cose: si fanno sempre più insistenti le voci che vogliono le teste di Rustan Umerov (ministro ucraino della Difesa) e del generale Oleksandr Syrsky (comandante in capo delle forze armate) appese a un filo. Lo stesso filo a cui sono appese le possibilità di difesa degli ucraini se gli Usa manterranno la loro decisione di interrompere la fornitura di alcuni tipi di missili, compresi quelli antiaerei, per paura di esaurire le scorte. Cosa che ha spinto lo sbalordito Zelensky a mettersi subito in contatto con la Casa Bianca. Mentre intanto i giornali Usa scrivono che il dittatore nordcoreano Kim Jong-un sta per inviare altri 30mila soldati ad aiutare i russi.
Si può quindi capire perché Macron oggi “suggerisca” la necessità di un cessate il fuoco. E anche perché Putin faccia finta di niente e chieda, invece, un accordo globale sulla sicurezza. Macron parla a nome di un’Europa che ha scommesso su due tavoli: la sconfitta sul campo della Russia (con le armi in Ucraina e con le sanzioni nel mondo), che non ha ottenuto; e il patrocinio perenne degli Usa, che si sono invece trasformati in padri-padroni dell’alleanza, all’insegna di quanto ha scritto Mark Rutte, segretario generale della Nato, nel famoso e vergognoso messaggio a Donald Trump: «L’Europa pagherà alla GRANDE (maiuscolo suo, n.d.r.) ed è una tua grande vittoria». Un’Europa che, in altre parole, a dispetto dell’eroismo degli ucraini, ha perso la sua guerra.
Questo è quello che vede, o crede di vedere, Putin. Il quale non è poi troppo preoccupato nemmeno dal confuso ma ambizioso piano di riarmo varato da Bruxelles. Per combattere non bastano i miliardi (i famosi 800, che comunque andranno per metà agli Usa, fornitori del 48% delle armi acquistate dagli europei), ci vuole anche la volontà, il coraggio, lo spirito. E mentre i russi combattono per una patria chiamata Russia, risulta difficile credere che un analogo sentimento alberghi per quest’Europa bellissima, ma divisa e irrisolta nell’animo delle generazioni Erasmus. Putin fa l’arrogante ma si capisce anche perché.
© RIPRODUZIONE RISERVATA