
La rabbia. Fino a qualche tempo fa, si poteva individuare un limite molto sottile – ma fondamentale – in grado di separare l’espressione della rabbia in senso classico dalle forme moderne e alienate di violenza: la genesi. Quel nucleo intimo di dolore, di sopraffazione, di slancio ideale (talvolta anche ingenuo, o addirittura sbagliato e criminale) che consentiva però di ricondurre l’espressione stessa della rabbia a un tratto umano. E, pur negli eccessi delle sue manifestazioni, anche intessuto di una certa dignità.
La società attuale ha fatto piazza pulita di tale limite, come di molti altri. Tiene banco, al contrario, la stupidità di violenze gratuite, senza il minimo senso e scopo; lo sbraitare confuso e vittimista di chi si sente ingabbiato dai mille rivoli di complotti immaginari orditi al solo fine di defraudarlo dei propri diritti. Del resto, come immaginare genesi diverse per i due atti – entrambi inquietanti e volgari – che la scorsa settimana hanno colpito, in due soli giorni, altrettanti sindaci del territorio lecchese? A Nibionno, la prima cittadina Laura Di Terlizzi fa giustamente notare a un’automobilista che non può lasciare l’auto dove ha sostato. Quello inveisce, insulta, compie gesti irripetibili. Il giorno dopo, tocca al sindaco di Cernusco: all’auto sotto casa viene squarciata una gomma e verniciato il cofano.
Una scia di ottuse violenze che già aveva attraversato anche Lecco, nel 2021, con minacce e svastiche comparse sui muri vicini all’abitazione del sindaco Mauro Gattinoni. Oppure a Dervio, sempre nel 2021, il primo cittadino Stefano Cassinelli aveva denunciato aggressioni verbali, un tentato investimento e perfino minacce con un fucile da parte di cittadini contrari ad alcune sue scelte. Per non parlare del caso di Sueglio, nel 2017, quando la sindaca Simona Cantini aveva subito in un solo anno tre atti vandalici alla propria auto.
In tutti questi casi, spesso veniva citata la rabbia tra le diagnosi a caldo. Ma queste erano e sono porcherie disfunzionali. La rabbia è un sentimento infinitamente più complesso. Che, proprio per questo – e a differenza dell’odio – riguarda solo in minima parte il nostro tempo.
Uno dei più alti manifesti della rabbia è, guarda caso, uno tra i capolavori assoluti della letteratura americana novecentesca, Il giovane Holden di Salinger. Le azioni di Holden Caulfield, tutte racchiuse nel breve arco di tre giorni, sono irrorate dal fiume viscoso di una rabbia oscura e intangibile. La morte del fratello minore ha macerato il ragazzo nel profondo. Istante dopo istante, per mesi e per anni gli ha ispirato un freddo nichilismo, una profonda insofferenza verso l’intolleranza ottusa di ogni forma di autorità e soprattutto una cinica ironia verso la possibilità dell’altrui empatia. Una rabbia alta e viscerale, quella di Holden. Disposta ad aprirsi a squarci cristallini di bellezza (i ricordi con il fratello), profondamente intelligente nel perseguire il gusto verbale dell’ironia; capace, alla fine del viaggio, di riconoscere e forse accettare il nucleo di dolore che tirava le fila di tutta la sua frustrazione, amarezza, violenza e desiderio autodistruttivo.
La rabbia alla quale assistiamo nel nostro tempo è altra cosa. Gli episodi citati nel Lecchese – il doppio vandalismo perpetrato pochi giorni fa ai danni di due sindaci del territorio, le minacce degli anni scorsi – sono solo esempi di un fenomeno tanto più vasto quanto inquietante. Anzitutto, parliamo di un’attitudine ottusa, tanto violenta quanto autodistruttiva: solo uno sciocco potrebbe ritenere di non essere riconosciuto e riconoscibile. Ma non importa, l’atto viene perpetrato ugualmente. Quando poi è diretta verso rappresentanti delle istituzioni, la questione diventa addirittura più grottesca. Vogliamo definirla protesta? Ma protesta verso cosa? E con chi? Un giorno, magari non troppo lontano, questi eserciti inferociti di uomini con Isee sopra soglia, casa di proprietà, auto ibrida e prospettive di buon pensionamento dovranno spiegare di quale torto sociale o personale si sentano mai vittime, e in quale lontano abbaglio le istituzioni sarebbero responsabili delle loro sfortune. Oppure, anche ammettendo che il vittimismo sia assolutamente istantaneo e diretto all’ignaro portatore di danno, sarebbe il caso di organizzare terapie di gruppo per alzare almeno di una tacca le soglie della frustrazione.
Ma tant’è. La stagione della rabbia imperversa nel nostro tempo. Schiere di uomini e donne con i nervi a fior di pelle si convincono ogni secondo di poter impunemente sfogare la loro frustrazione e, questo è il dato più drammatico, tornarsene poi a casa in pace con il mondo e con se stessi. Come ci riescano, è un mistero. Di questo, purtroppo, Salinger non ha mai scritto.
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