
Cronaca / Sondrio e cintura
Lunedì 13 Ottobre 2025
Fede, onestà ed educazione: l’eredità del nostro caro Alberto
I funerali del collega Gianoli, scomparso venerdì a soli 40 anni. Una vita «vissuta fino in fondo e donata»
«Perché, Signore, Alberto ha cessato in così breve tempo la sua esistenza terrena?». Una domanda che in tanti si sono fatti negli ultimi giorni, di fronte alla scomparsa - decisamente all’improvviso, appena all’età di quarant’anni - di Alberto Gianoli.
«La domanda che a noi spezza il cuore non è di poco conto. È una domanda di senso che riguarda la vita terrena e la vita eterna». Così, lunedì pomeriggio, ha inquadrato questo profondo interrogativo don Michele Parolini, già vicario di Sondrio e oggi parroco della Comunità pastorale di San Siro (Como).
È stato lui, di fronte a centinaia di persone, a proporre l’omelia nel corso della messa esequiale del nostro collega celebrata nella chiesa della Beata Vergine del Rosario, dove Alberto è cresciuto. A presiedere l’Eucarestia è stato l’arciprete di Sondrio, don Christian Bricola, assieme a don Parolini e a monsignor Peter Camenzind, vicario generale della Diocesi di Coira per il Grigione italiano: Gianoli, infatti, alla professione di giornalista ha affiancato - negli ultimi sedici anni - l’incarico di catechista e operatore pastorale a Poschiavo.
«Noi annunciamo ora che Alberto, morto per il mondo, vive in Cristo. Noi annunciamo che Alberto, abbattuto nel suo corpo come un albero nel suo rigoglio, è salvato, perché ha sempre accolto spontaneamente la salvezza come dono d’amore da parte di Dio», la risposta di don Michele. «Il dono della salvezza è partecipazione alla gloria stessa di Gesù: è questa la ricompensa promessa a coloro che hanno lasciato tutto per amore di Cristo, per essere suoi discepoli».
Nell’omelia, il sacerdote ha tratteggiato un’ottima immagine di Alberto. Parlando di lui, non si può non pensare a «quella fitta rete di relazioni che ha saputo tessere, pur rimanendo legato alla famiglia d’origine. In questa rete, non è stato solo un amico fidato ma – a diverso titolo – un fratello, un confidente, un punto di riferimento». Le lacrime di tanti - più o meno giovani, poco cambia - ne sono state la migliore testimonianza, se mai ci fosse stato bisogno di una conferma: dagli studenti delle scuole di Poschiavo ai giovani della Comunità pastorale cittadina che, in questi anni, hanno camminato con lui.
«Nella fede, oggi ricordiamo Alberto soprattutto come figlio: figlio di Dio, in primis, ma in modo del tutto speciale figlio della Chiesa, che ha amato e servito. Non una Chiesa fuori dal mondo, ma la Chiesa qui e oggi: l’ha servita e amata». Ancora, «allergico a qualsiasi compromesso e, allo stesso tempo, consapevole che Cristo ha voluto la Chiesa formata da uomini, che vivono esposti alle logiche del momento, ha creduto solidamente che le vere rivoluzioni nella Chiesa possono nascere solo dal tempo», la riflessione di don Michele.
Nello specifico, il nostro collega ha amato e servito la chiesa della Beata Vergine del Rosario, «della quale dieci anni or sono ha ripercorso con amorevole impegno mezzo secolo di vita parrocchiale». Ma ha anche «amato e servito l’intera Comunità pastorale di Sondrio, entro la quale si è speso per la cura e l’educazione alla fede delle nuove generazioni». E lo stesso ha fatto nei confronti della «nostra vasta Diocesi di Como, principalmente come giornalista de Il Settimanale, organo di stampa ben radicato nel territorio che lui stesso stimava, modello di comunicazione onesta e costruttiva».
Non è tutto. Alberto, infatti, «ha amato e servito pure la Chiesa della Valle di Poschiavo, in Diocesi di Coira, esercitando fianco a fianco con i sacerdoti il ministero di operatore pastorale e catechista in parrocchia e a scuola». Per finire, «ha amato e servito la Chiesa universale, che si rispecchia e si riconosce nella basilica di San Pietro in Vaticano, al cui riparo trovava consolazione per lo spirito e rinnovato slancio ed entusiasmo per le iniziative future».
Insomma, una «vita vissuta fino in fondo e donata», che rimane ora come «invito alla speranza che non delude. E così il nostro cuore, piegato dal dolore per la domanda sul “Perché questo?”, si apre al ringraziamento per il dono di Alberto e per il bene che ha potuto seminare nei solchi delle nostre vite». Una eredità davvero preziosa.
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