La strage di Bologna 45 anni fa:
«Io e le mie figlie salvi
grazie ad un facchino»

Sergio Padulli, 85 anni, da oltre un decennio residente a Colico, il 2 agosto del 1980 era alla stazione di Bologna e cinque minuti prima dello scoppio si trovava sul binario 1, dove alle 10.25 un ordigno posizionato nella sala d’aspetto di seconda classe esplose, provocando la morte di 85 persone e il ferimento di altre 200

Colico

«Un’esperienza che non auguro a nessuno e che ha segnato la nostra vita». Sergio Padulli, 85 anni, da oltre un decennio residente a Colico, il 2 agosto del 1980 era alla stazione di Bologna e cinque minuti prima dello scoppio si trovava sul binario 1, dove alle 10.25 un ordigno posizionato nella sala d’aspetto di seconda classe esplose, provocando la morte di 85 persone e il ferimento di altre 200.

«Credo molto nel destino: è stato un miracolo, pochi minuti e non sarei qui a ricordare quanto successo - dice Padulli -. Sono milanese di nascita e bolognese d’adozione, nel 1969 sono partito da Milano, da Porta Portese, per un lavoro a Bologna, e là ho conosciuto quella che poi è stata la mia compagna per anni, Maria Rosa Fantazzini; io avevo tre figlie e altrettante ne aveva lei. Quella mattina insieme avevamo accompagnato le sei ragazzine alla stazione perché dovevano partire per la vacanza in colonia a Brunico. Eravamo sul primo binario quando abbiamo consegnato i bagagli al facchino, poi Maria Rosa è entrata in un negozio per comprare le caramelle alle bambine che dovevano fare un lungo viaggio».

Pochi minuti e perdono di vista il facchino con tutti i bagagli, che all’improvviso ricompare in direzione del binario 7. «Ci ha fatto un cenno per raggiungerlo e siamo andati in sua direzione, ha ulli scaricato le valige e, dopo averlo ringraziato, mi sono seduto un attimo; in quel momento, mentre eravamo tutti insieme, in un’epoca segnata dagli attentati (erano gli anni di piombo), non so come mai, ma ho pensato che quello sarebbe stato il contesto per una bomba - ricorda Sergio Padulli -. Improvvisamente abbiamo sentito due botti fortissimi, le schegge del tetto ci hanno colpito, ma per fortuna c’erano i treni fermi sui binari che hanno parato lo spostamento di tutto il materiale del crollo».

Oggi, dopo quarantacinque anni da quel tragico giorno finito alle cronache per il tanto sangue versato, Sergio Padulli ha deciso di raccontare il suo vissuto. «In qualche modo ho cercato di rimuovere le immagini del momento, ma non è facile, mi hanno accompagnato e continueranno ad accompagnarmi; sono però convinto che dietro c’era un disegno del destino, visto che siamo sopravvissuti e che alla fine ci siamo salvati per cinque minuti d’orologio - sottolinea il colichese -, mi sono fatto l’idea che il facchino fosse un angelo che ci ha chiamati perché dovevamo vivere ancora e fare tante cose».

Dopo lo scoppio i ferrovieri fecero uscire tutti dai passaggi laterali. Abbracciammo le nostre figlie e, con tanta paura e non senza difficoltà, riuscimmo a raggiungere l’auto e a tornare a casa. «Faceva davvero caldo, c’erano quasi 40 gradi e inizialmente si era pensato allo scoppio di una caldaia del bar, ma in realtà era un ordigno. Alla sera tornammo per vedere cosa era successo e c’era un giovane Bruno Vespa che faceva i servizi per il telegiornale in diretta», conclude Sergio Padulli, testimone di una pagina di storia tra le più buie.

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