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Lunedì 25 Agosto 2025
Gen Z: benessere, fiducia e crescita. Ecco il nuovo «contratto» di lavoro
Capitale umano. Solo il 59% dei giovani si sente supportato davvero e il 20% in linea con le opportunità offerte. Gionfriddo (ad di ManpowerGroup): «Le aziende non devono più offrire solo benefit, ma costruire relazioni»
Lecco
Secondo il World Economic Forum, entro il 2030 la Generazione Z rappresenterà circa un terzo della forza lavoro globale. Un dato che, da solo, basterebbe a spiegare perché sempre più aziende stiano cercando di capire come attrarre, coinvolgere e trattenere i talenti nati tra il 1997 e il 2012. Ma c’è di più. Questi giovani entrano nel mercato del lavoro in un periodo di forte instabilità geopolitica, transizione digitale e trasformazione dei modelli organizzativi. E chiedono un cambiamento profondo, sostanziale, non più rinviabile.
Benessere, senso, fiducia e possibilità di crescita: sono questi i pilastri su cui, secondo la ricerca «World of Work for Generation Z in 2025», presentata da ManpowerGroup durante l’annual conference italiana «The Exchange – Disegniamo insieme il futuro del lavoro», si gioca la sfida dell’occupazione giovanile. Ne abbiamo parlato con Anna Gionfriddo, amministratrice delegata di ManpowerGroup Italia, che da anni osserva e interpreta le trasformazioni in atto nel mercato del lavoro.
Non più solo il posto fisso
«I giovani non chiedono solo un posto fisso. Chiedono un posto giusto - sottolinea Gionfriddo -.Vogliono sentirsi parte di un contesto che li ascolti, che investa su di loro, che ne riconosca il valore. Un ambiente in cui si possa crescere, ma anche stare bene». I numeri dello studio raccontano un malessere diffuso. Il 57% dei lavoratori della Gen Z in Italia si dichiara stressato dalle attività quotidiane, il 49% prevede di lasciare l’attuale posizione lavorativa entro sei mesi, e il 35% ritiene che sarà comunque costretto a farlo.
A tutto questo si aggiunge un forte senso di incertezza: solo il 20% dei giovani italiani si sente sicuro di riuscire a trovare un impiego coerente con le proprie aspettative.
Passare alla «We economy»
«Serve un nuovo patto tra persone e imprese - avverte l’ad -. Un patto fondato su flessibilità, benessere e possibilità concrete di crescita. Le aziende devono diventare piattaforme di coesione sociale, capaci di generare valore non solo economico, ma anche umano». Il cambiamento non è solo semantico. Si tratta di passare da una logica individualistica – la cosiddetta Me economy – a una visione collettiva del lavoro, la We economy. In questo nuovo paradigma, i dipendenti non sono più semplici risorse, ma protagonisti. E le aziende non si limitano a offrire contratti, ma costruiscono relazioni.
«Per noi questo significa lavorare affinché le imprese siano ecodigitali, umane, personalizzate, adattabili e plurali - racconta Gionfriddo -. Lo abbiamo espresso chiaramente in un Manifesto per il futuro del lavoro che si fonda su cinque sfide condivise. È una guida concreta per costruire ambienti che sappiano valorizzare ogni voce e ogni generazione, senza escludere nessuno».
Tuttavia, essere protagonisti di coesione sociale significa passare dalle parole ai fatti. Secondo ManpowerGroup, oggi il 72% dei lavoratori italiani si riconosce nei valori dell’azienda per cui lavora, ma solo il 59% si sente effettivamente supportato nel proprio percorso di carriera.
«Questo scollamento va colmato - commenta Gionfriddo -. Con politiche di ascolto attivo, mentoring intergenerazionale, percorsi di crescita personalizzati. Inoltre, il 27% dei lavoratori ritiene che il carico di lavoro comprometta l’equilibrio vita-lavoro. Un segnale chiaro che richiede risposte strutturali».
Dialogo tra generazioni
Il dialogo tra generazioni, in questo contesto, assume un valore strategico. Da una parte, la Gen Z porta in dote competenze digitali e un forte orientamento al purpose; dall’altra, le generazioni più senior offrono visione e solidità. Ma c’è un problema: l’engagement dei giovani è in calo. In cinque anni è passato dal 40% al 35%. «È un dato allarmante perché mostra che le nuove generazioni si sentono meno ascoltate, meno supportate e meno connesse alla missione aziendale. Dobbiamo creare spazi reali di confronto e collaborazione, per favorire un passaggio efficace di competenze e valori», ammette Gionfriddo.
Le imprese, in parte, hanno cominciato a reagire. In Italia, il 37% ha investito in dotazioni tecnologiche, un altro 37% ha introdotto soluzioni per il benessere sul luogo di lavoro, il 27% ha adottato orari flessibili, il 22% ha aumentato i salari e il 28% ha puntato sulla crescita professionale.
«È un buon punto di partenza, ma non basta», ribadisce Gionfriddo.
«Serve un cambio di paradigma culturale. Le persone devono essere messe al centro davvero, non solo nei manifesti aziendali».
Generazione più esigente
Alla base della crisi di fiducia c’è anche un’altra verità: la Gen Z è molto attenta al purpose, ma non per questo è meno interessata alla stabilità. Il 70% dei giovani indica la sicurezza lavorativa tra i criteri più importanti nella scelta di un impiego, insieme alla flessibilità e alla possibilità di crescita. «La Gen Z non è meno fidelizzata. È semplicemente più esigente», chiarisce Gionfriddo. «Vuole aziende autentiche, coerenti, capaci di offrire esperienze significative. Fidelizzare oggi significa costruire relazioni basate su fiducia, impatto sociale e trasparenza. Chi saprà farlo attirerà e manterrà i talenti migliori».
Orientati al futuro
Un altro elemento chiave riguarda le competenze. Secondo il Talent Shortage Report di ManpowerGroup, oggi il 24% delle aziende fatica a reperire le skill digitali necessarie. E non basta più padroneggiare una tecnologia: serve capacità di apprendimento continuo, flessibilità mentale e adattabilità.
«Le attività di upskilling e reskilling sono tra le principali priorità per il 28% delle aziende a livello globale - afferma l’ad -. Ma per funzionare devono essere pensate in modo inclusivo, accessibile e orientato al futuro».
Il dialogo tra generazioni è essenziale anche per costruire organizzazioni resilienti e innovative. La Gen Z porta con sé nuove competenze digitali e una forte attenzione al senso del lavoro, mentre le generazioni più esperte contribuiscono con esperienza e visione strategica. La sfida è creare contesti di confronto costruttivo, dove le diversità diventino leve per la crescita.
Il benessere non è un benefit
L’amministratrice delegata di Manpower Italia non ha dubbi: il lavoro del domani sarà sempre più umano e integrato con le tecnologie. Ma solo se agiamo oggi. «Immagino un futuro del lavoro più umano, inclusivo e sostenibile, in cui le tecnologie potenziano le persone e non le sostituiscono - conclude -. Un ecosistema in cui il benessere non è un benefit, ma un diritto, e in cui le aziende sono luoghi di crescita, co-creazione e impatto sociale. Se sapremo ascoltare e agire oggi, il lavoro di domani sarà un motore di progresso per tutti».
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