
Lecco e Sondrio, l’industria che resiste: ma il Made in Italy chiede regole chiare
Dalla tavola rotonda “Linee di confine” emerge un messaggio chiaro anche per i distretti di Lecco e Sondrio: la forza manifatturiera italiana, pilastro di territori produttivi come quelli lombardi, rischia di essere frenata da norme europee troppo rigide
Lecco - Sondrio
La tavola rotonda “Linee di confine: sovranità, traiettorie e scambi globali” ha fornito un quadro delle contraddizioni che definiscono l’economia italiana. Da un lato, la straordinaria potenza manifatturiera che pone l’Italia al vertice globale; dall’altro, la rigidità delle normative europee che rischia di minare le basi stesse dell’industria. Le voci di Marco Fortis, Antonio Gozzi e Alberto Bagnai convergono sulla necessità di un cambiamento di rotta a Bruxelles per valorizzare la competitività del Made in Italy.
Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison, ha messo in luce la resilienza e il successo del sistema produttivo italiano, frutto di una capacità di adattamento unica, forgiata anche dalle difficoltà interne.
«Il settore manifatturiero rappresenta uno dei principali punti di forza del Paese, è di pochi giorni fa la notizia che, nei primi sette mesi dell’anno, l’Italia ha esportato più del Giappone, raggiungendo così il quarto posto tra gli esportatori mondiali. Il sistema produttivo si è evoluto, rafforzandosi e diversificandosi, oggi il made in Italy accanto ai settori storici include in misura crescente meccanica, mezzi di trasporto, cosmetica e farmaceutica».
Antonio Gozzi, special advisor di Confindustria, che ha denunciato l’approccio “estremista” dell’Europa verso i settori industriali pesanti, essenziali per l’intera catena del valore. «I settori dell’industria di base, fondamentali perchè da loro dipende la vita di molte filiere, sono stati in gran parte dimenticati dall’Europa. L’impostazione ideologica ed estremista del Green Deal, priva di un’adeguata analisi costi-benefici, ha imposto tasse e oneri pesanti su queste industrie, che hanno iniziato a soffrire».
Gozzi ha chiarito la serietà delle conseguenze, che non sono solo economiche, ma strategiche, spingendo verso la dipendenza dai competitor asiatici: «Stiamo assistendo alla chiusura di intere filiere, la chimica è in crisi e la produzione di acciaio si è fortemente ridotta. Oggi l’85% del nostro acciaio è prodotto con forni elettrici, una tecnologia efficiente e sostenibile, ma non adatta a tutti i tipi di acciaio. Se questo tipo di produzione dovesse sparire, le lamiere andrebbero acquistate in Cina, Giappone o Corea, cioè dai nostri stessi concorrenti. Serve quindi una svolta netta. La forza del sistema manifatturiero italiano ci permette di sederci ai tavoli europei con autorevolezza, rivendicando la necessità di un cambiamento.»
Alberto Bagnai, economista e parlamentare della Lega, ha concluso con una critica alla prassi legislativa europea che tende a sostituire l’imposizione politica alla logica della domanda e dell’offerta, aumentando la disaffezione dei cittadini. Il caso dell’auto elettrica è l’esempio lampante di un intervento normativo eccessivo che ignora le necessità reali del mercato europeo: «Sul mercato, basti pensare al caso dell’auto elettrica. Se questa tecnologia avesse risposto davvero a un bisogno concreto dei cittadini europei, come avvenuto in Cina dove il problema dello smog era urgente e visibile, il mercato avrebbe potuto autoregolarsi con un sistema di prezzi capace di trovare un equilibrio naturale. L’intervento normativo eccessivo, invece, ha spesso sostituito la logica della domanda e dell’offerta con quella dell’imposizione politica».
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