Tfr per anticipare la pensione, la Cgil di Lecco boccia la proposta

Il segretario generale Riva definisce l’idea “profondamente sbagliata”. Critiche anche su Opzione Donna e rinnovi contrattuali.

Lecco

«L’idea di utilizzare il Tfr per garantire la flessibilità in uscita è profondamente sbagliata: significherebbe far pagare direttamente a lavoratrici e lavoratori il costo della pensione anticipata». È lapidario il giudizio di Diego Riva, segretario generale della Cgil di Lecco, sulla proposta del sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon, della Lega, per la pensione anticipata su base volontaria per tutti a 64 anni con 25 di contributi versati, con la possibilità (anch’essa su base volontaria) di utilizzare il Tfr per aumentare l’importo dell’assegno pensionistico, nell’ottica di contrastare le pensioni povere, ma rinunciando in sostanza alla liquidazione. «Il Tfr - aggiunge Riva - non è un fondo da usare a piacimento, è salario differito e quindi parte integrante della retribuzione».

La strada da seguire per Riva è un’altra ed è quella di dar vita a «una vera riforma previdenziale, più volte promessa da questo Governo e mai attuata, che sia anche frutto di un confronto con le organizzazioni sindacali». Una riforma che consenta di «rivedere il meccanismo dell’importo soglia pensionistico, cioè l’ammontare minimo annuale che una pensione deve raggiungere per essere liquidata dall’Inps, che è in costante aumento e ciò cancella di fatto ogni possibilità di pensionamento a 64 anni per chi ha carriere povere e discontinue», così come «è urgente pensare a pensioni di garanzia per le giovani generazioni, che con l’attuale sistema sono destinate ad avere importi non dignitosi al termine della carriera lavorativa».

Se passasse la proposta Durigon, come ha detto lo stesso sottosegretario, Quota 103 (62 anni d’età e 41 di contributi) non verrebbe prorogata, «ma è su Opzione Donna – afferma Riva - che si arriva all’assurdo: il sottosegretario dice che è stato uno strumento poco utilizzato, dimenticandosi che la ragione di ciò sta nel fatto che dal 2023 i requisiti per poterne usufruire sono stati fortemente inaspriti e questo ha ristretto notevolmente la platea delle beneficiarie. Opzione Donna, comunque, non si è rivelata la soluzione al problema dell’allungamento dei requisiti pensionistici introdotti con la riforma Fornero, perché le donne che l’hanno scelta sono state costrette a rinunciare a una grossa parte dell’importo pensionistico maturato: le perdite stimate dal patronato Inca-Cgil sono mediamente pari a 400 euro netti mensili».

La Lega, come annunciato da Durigon in un’intervista al Corriere della Sera, pensa a una proposta per la Finanziaria: per i contratti scaduti e in attesa del rinnovo l’idea è di aumentare comunque i salari sulla base dell’Ipca o di altri indicatori; poi l’aumento sarà compensato quando il nuovo contratto stabilirà gli incrementi dei minimi. Funzionerebbe?

«È un meccanismo simile a quanto già previsto in alcuni contratti industriali, come quello dei metalmeccanici. Un conto, però, è arrivare a questa soluzione per via negoziale – afferma Riva -, un altro invece è stabilirla per legge: il timore è che le associazioni datoriali possano sfruttare questa possibilità per rimandare a data da destinarsi i rinnovi contrattuali che, ricordiamo, non coinvolgono solo gli aspetti economici ma anche quelli normativi. Se il Governo fosse realmente interessato a tutelare il potere d’acquisto di lavoratrici e lavoratori, potrebbe innanzitutto mettere sul piatto aumenti contrattuali superiori a quelli proposti nelle trattative di rinnovo del Ccnl Enti Locali, contrariamente a quanto fatto per i Ccnl Funzioni Centrali e Sanità Pubblica (non sottoscritti dalla Cgil), che non hanno nemmeno recuperato il potere d’acquisto perduto».

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