La testimonianza del missionario in Perù: «Leone XIV ci pensa»

Don Tommaso Nava, originario di Acquate e per dieci anni vicario a Valmadrera, è a Pucallpa dal 2021, territorio di confine con la foresta amazzonica. «Sapere che il Papa ha nel cuore la terra dove è stato vescovo è un’ispirazione a credere nell’unità della Chiesa»

Lecco

«Sapere che il Papa ha il cuore peruviano (anzi, peruano) ci dà una spinta molto forte a credere nell’unità della Chiesa»: lo dice don Tommaso Nava, in missione dal 2021 a Pucallpa, in Perù, appunto, 600mila abitanti in un territorio vasto come Lombardia e Piemonte, laddove l’ultima strada si arrende alla foresta amazzonica. Entusiasmo e passione traspaiono dalla voce del sacerdote classe 1983, originario di Acquate (papà Antonio, deceduto nel 2010, era membro apprezzatissimo nella Caritas locale e diocesana) e per dieci anni - fino al 2021, appunto - vicario a Valmadrera.

Le parole

Racconta: «Anche a Pucallpa c’è molto fermento e tanta gioia. Papa Leone XIV è stato vescovo in una realtà differente rispetto a quella amazzonica, però la gente è contenta. Peraltro, qui ci sono tante persone che provengono dalla costa; per esempio, tra i nostri seminaristi, uno ha ricevuto la cresima proprio dal Papa, poiché da ragazzo viveva nella diocesi di Chiclayo e, dunque, l’allora vescovo Prevost lo ha reso per noi una reliquia, per per dirla in modo un po’ scherzoso. Dunque - prosegue don Tommaso - quando abbiamo sentito la notizia di questo Papa, col cuore appunto peruviano, oltre che la cittadinanza peruviana, veramente ci siamo stupiti tantissimo. A noi, che siamo qui come missionari in Amazzonia, ha veramente colpito la bellezza di un Papa missionario: questa è una cosa che da subito ha creato affetto col nuovo Papa, che ha voluto essere missionario, come espressamente afferma nella sua biografia: ha proprio desiderato considerare il suo sacerdozio a servizio anche degli altri, quindi ha passato più di 15 anni in Perù e questo crea con la nostra realtà un legame, sicuramente spirituale e anche emotivo».

«Insomma - rimarca don Tommaso - sapere che abbiamo un Papa che (come diceva Francesco) ha attaccato a sé l’odore delle pecore ci fa pensare che potrà guidare la Chiesa a partire dal basso, avendo vissuto un’esperienza molto a contatto con la gente. Bisogna sapere, infatti, che il vescovo, nelle diocesi peruviane, è diverso dal vescovo in Italia dove è per lo più un’istituzione. Qui i vescovi si mischiano con le persone, infatti in varie foto sul Web si vede Prevost con gli stivaloni a portare aiuto nelle inondazioni o a dar da mangiare ai poveri e ciò fa capire anche il mistero dell’incarnazione di Gesù, il Dio che ci salva da vicino e ha voluto farsi uomo. Così, avere un Papa che ha vissuto tutta un’esperienza di umanità ci dà tanta allegria e tanta speranza».

I richiami

A colpire don Tommaso anche i suoi richiami a una Chiesa missionaria: «Il Papa l’ha detto due volte durante il discorso, quindi non siamo solo noi missionari quelli che vanno lontano: è la Chiesa in se stessa; i cristiani sono missionari lì dove vivono ogni giorno: gente che annuncia, gente che porta una speranza. Ecco - per don Tommaso - questo è molto bello, così come il discorso di creare ponti; è necessario anche sapere che qui la Chiesa è molto divisa, tra chiese protestanti, evangeliche, di nuova generazione. A maggior ragione, avere un Papa che conosce queste nostre realtà ci dà proprio la speranza di poter costruire una Chiesa unita. Del resto, il Papa riceve da Gesù il compito di essere colui che unisce e che conferma i cristiani nella loro fede: questo cammino di unità con Papa Leone credo - conclude don Tommaso - sia una bella sfida che ci sta davanti».

© RIPRODUZIONE RISERVATA