Niente Unesco per San Pietro al Monte, il rammarico della Fondazione

«Non è solo una candidatura mancata – ha sottolineato la presidente della Fondazione comunitaria del Lecchese Maria Grazia Nasazzi – ma colpo al cuore per tutti». A Civate il Maestro Hildemaro scrisse un commento alla Regola benedettina destinato a influenzare la vita monastica di tutto il continente.

Civate

Non ce l’ha fatta. La Basilica di San Pietro al Monte, il gioiello romanico che domina Civate e la Valle dell’Oro, non entrerà nella lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO. La notizia, arrivata nei giorni scorsi, ha lasciato un velo di amarezza tra chi da anni lavora per far riconoscere a livello internazionale il valore unico di questo luogo che, da secoli, racconta la storia e l’anima del nostro territorio.

La Fondazione comunitaria del Lecchese, da sempre in prima linea nel progetto, ha espresso il proprio rammarico con parole cariche di passione e orgoglio. «Non è solo una candidatura mancata – ha sottolineato la presidente Maria Grazia Nasazzi – ma un percorso ricco di impegno, ricerca e collaborazione. Abbiamo investito tempo, energie e risorse per far conoscere al mondo ciò che San Pietro al Monte rappresenta per noi: un simbolo di bellezza, fede e identità».

Il sito di Civate era stato incluso nella proposta italiana degli Insediamenti benedettini altomedievali, ma Icomos, l’organismo consultivo dell’UNESCO, ha deciso diversamente, limitando la valutazione ai monasteri dei secoli VI-VIII. Una scelta che la Fondazione contesta con forza: è infatti nell’età carolingia, attorno al IX secolo, che la Regola di San Benedetto divenne legge spirituale e culturale dell’Europa, e proprio allora Civate ebbe un ruolo di primo piano. Fu qui, infatti, che il Maestro Hildemaro scrisse un commento alla Regola benedettina destinato a influenzare la vita monastica di tutto il continente.

A rendere unico il complesso di San Pietro al Monte non è solo la sua importanza storica, ma anche la straordinaria integrità architettonica e artistica. La basilica, con la sua cripta, gli affreschi dai toni ancora vibranti e le sculture che raccontano il mistero del bene e del male, è una testimonianza viva di arte romanica, un luogo dove il silenzio della montagna si fonde con la spiritualità dei secoli.

«È un colpo al cuore per tutto il Lecchese – prosegue Nasazzi – ma il valore di San Pietro al Monte non si misura in riconoscimenti. È nei passi di chi sale al monte, nella luce che filtra tra le pietre antiche, nel legame profondo tra la comunità e la sua storia».

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