Giornata Internazionale dell’Infermiere, «Almeno un episodio di violenza dell’arco della carriera lavorativa di ognuno»

Anche a Lecco gli infermieri iscritti all’Opi, ordine delle professioni infermieristiche, soffrono di almeno un episodio di violenza in carriere. Per lo più verbale, ma non solo. Fedeli, presidente Opi Lecco: «Tante volte è la mancanza di risposte da parte del sistema sanitario che genera insoddisfazione. E poi c’è l’eterno problema della mancanza di personale che impatta su tempi d’attesa»

Lecco

Anche a Lecco i dati parlano chiaro: gli infermieri iscritti all’Opi, ordine delle professioni infermieristiche, soffrono, nell’arco della loro vita professionale, di almeno un episodio di violenza. Per lo più, ma non solo, verbale. Il caso della dottoressa di Casatenovo che lascerà la guardia medica, non è un qualcosa che desti stupore agli operatori della Sanità. Capita, praticamente, a tutti. Con le più diverse sensibilità.

Fabio Fedeli, oggi, nella giornata internazionale dell’infermiere (dal titolo “Insieme costruiamo Salute: negli infermieri la soluzione”), ha rilanciato l’impegno della sua categoria per far comprendere come, moltissime volte, l’ignoranza, intesa come mancanza di conoscenza, faccia scattare la violenza.

«Penso, per esempio, al triage del Pronto Soccorso, dove dovrebbero essere trattati solamente casi emergenziali: i tempi di attesa sono dettati dal codice assegnato e dal numero di pazienti gravi da trattare, perché prendersela con l’operatore che assegna il codice? Non agisce a suo giudizio personale, ma valuta professionalmente e utilizza degli algoritmi che la gente non conosce. E così per tante altre sfaccettature della nostra professione che non vengono comprese e portano a contrasti. Quel che è certo, nella ricerca regionale che abbiamo pubblicato l’anno scorso su circa di 3mila colleghi, è che tutti, prima o poi, in carriera, hanno subìto almeno un episodio di violenza, per lo più verbale, ma a volte anche fisica».

Fabio Fedeli, però, non è abituato a recitare il ruolo della vittima. Capisce anche le esigenze di pazienti e parenti e pur essendo molto chiaro sulla assoluta condanna delle violenze, verbali o fisiche che siano, si rende conto che a volte l’esasperazione nasce da esigenze che non trovano risposte: «Tante volte è la mancanza di risposte da parte del sistema sanitario che genera insoddisfazione. Un’esasperazione che può travalicare i limiti del giusto e del civile, anche se non lo giustifica. Pensiamo agli orari di reperibilità dei medici di base, per esempio: dalle 20 alle 8 del mattino loro non possono rispondere. Logico che anche per problemi non da Ps, la gente si rivolga al Pronto Soccorso. Anche se c’è la Guardia Medica a disposizione in verità. Ma ancora più grave è il problema dei pediatri: la Guardia Medica pediatrica non esiste. E dunque si va direttamente al Ps pediatrico. E poi c’è l’eterno problema della mancanza di personale che impatta su tempi d’attesa e quant’altro». Come a dire che per diminuire la “litigiosità” c’è ancora molto da fare a livello strutturale.

Ciò non toglie, però, che oltre al burn-out dato dai turni sempre più massacranti, studiati appunto per fare di necessità virtù, c’è anche il problema della violenza sul personale sanitario. Ma Fabio Fedeli si augura anche che la professione infermieristica vada sempre più verso il riconoscimento delle specializzazioni: «Fino ad oggi, chi oltre alla laurea triennale, faceva il percorso di Laurea Magistrale in Scienze Infermieristiche, può sviluppare la carriera per lo più nel settore del management. Ma a livello pratico, sul campo, non c’è distinzione: chi aveva studiato, faccio un esempio, una specializzazione per l’area critica o la sanità pubblica, poi poteva essere destinato a qualsiasi struttura operativa, secondo le esigenze dell’Asst in cui lavora. Ora si va verso un riconoscimento non solo nell’area del management, ma sul campo della clinica di queste specializzazioni. Ma c’è bisogno anche di un riconoscimento economico che, per ora, manca».

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