
Cronaca / Morbegno e bassa valle
Lunedì 06 Ottobre 2025
«Non voglio buttare via di nuovo la vita»:
a Morbegno l’oasi contro le fragilità
Il servizio dedicato da Famiglia Cristiana a don Diego Fognini e all’impegno della “Centralina”: «Il vero coraggio è immaginare un futuro diverso»
Morbegno
La montagna valtellinese, apparentemente lontana dai grandi traffici metropolitani, è diventata da tempo approdo per vite spezzate dalla dipendenza e ieri don Diego Fognini è apparso in copertina del settimanale «Famiglia cristiana». A Morbegno, la comunità «La Centralina», fondata nel 1991 da don Diego Fognini, accoglie uomini e donne segnati dall’abuso di sostanze e da fragilità psichiche. Un’oasi nata per dare riparo a chi, tra carcere, strada e droga, sembrava non avere più alternative. Qui si coltivano orti, si lavora in sartoria e si intrecciano relazioni occasione di rinascita.
Il fenomeno che più preoccupa oggi, spiegano gli esperti, è quello delle multidipendenze: non più l’uso di una sola sostanza, ma il ricorso a mix devastanti di droghe vecchie e nuove, alcol e psicofarmaci. «Non si tratta più di cocaina “pura” o eroina “pura” – avverte Riccardo Gatti, psichiatra ed esperto nazionale del settore – ma di combinazioni che amplificano i danni e richiedono risposte terapeutiche diverse, più complesse». Servizi sanitari, carceri e comunità fanno fatica a reggere l’urto.
Nel bosco di Rogoredo, alle porte di Milano, lo scenario è quello di un’emergenza permanente. Ma, viene sottolineato nell’articolo, anche lontano dalle grandi città,, la battaglia è durissima. Paco, ospite senegalese della Centralina, racconta il suo percorso: «In carcere sognavo la droga, mi svegliavo sudato. Qui ho imparato che si può sognare altro. Non voglio più buttare via la mia vita». Il suo desiderio è semplice e rivoluzionario: un lavoro, una famiglia, rapporti veri.
La Centralina non è solo luogo di accoglienza, ma anche laboratorio sociale. Gli ospiti curano le serre, producono ortaggi e imparano un mestiere. «Il lavoro restituisce dignità – spiega Simona Venuto, direttrice del centro – ma soprattutto educa alla responsabilità». Non mancano le difficoltà: pochi educatori, fondi limitati, giovani sempre più fragili, segnati dall’uso precoce di sostanze. Ma la forza della comunità è nel tenere insieme storie diverse, accompagnando ognuno a riconquistare un proprio senso.
Don Diego parla di «ricucire esistenze»: «Il vero coraggio è sognare altro, immaginare un futuro diverso. Non basta reprimere: serve educare e offrire possibilità concrete». Per questo, accanto al recupero terapeutico, la Centralina ha dato vita alla cooperativa sociale «Si può fare», che crea opportunità di lavoro per gli ospiti.
Il rischio è che le istituzioni restino indietro, mentre le nuove dipendenze si moltiplicano e travolgono comunità e famiglie. «Servono politiche di prevenzione serie e continue – insiste Gatti – perché la repressione da sola non basta». Tra buio e luce, la Centralina rimane un baluardo fragile ma resistente. Qui, tra le montagne di Morbegno, il silenzio dei boschi si intreccia con il rumore di macchine per cucire e con le voci di chi prova a rimettere insieme i pezzi della propria vita. Non è facile, ma è possibile.
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