Per aggirare i dazi, il ministro Lollobrigida lancia l’operazione Bresaola

La proposta: «Usare il prodotto per provare a scardinare il sistema, aumentando le importazioni dagli Usa e portare il presidente americano a più miti consigli»

Bresaola con carne americana, ma solo per il mercato statunitense. Chiama direttamente in causa il prodotto più blasonato della dop economy valtellinese l’ultima trovata del ministro dell’Agricoltura, Sovranità alimentare e foreste, Francesco Lollobrigida che intervenendo al dibattito “L’agricoltura italiana tra innovazione, crisi idriche e valorizzazione della filiera” al Forum in Masseria a Manduria, provincia di Taranto, ha parlato della possibilità di fare speciali accordi bilaterali per «superare, ad esempio sulle carni, alcune cose che non possiamo accettare».

«Noi non possiamo accettare carne ormonata dagli Stati Uniti - ha detto Lollobrigida -, ma ci sono delle importazioni vincolate: significa che se importi carne per fare prosciutti che vanno negli Stati Uniti, alcuni accordi vincolati permettono di operare in questo senso o ancora di più nel caso della bresaola, importiamo il 90% di carne per produrla. La bresaola degli Stati Uniti potrebbe essere anche fatta con carne statunitense quindi con le regole che riguardano il loro modello alimentare, anche se io la sconsiglio».

Insomma, un escamotage pur di riuscire a convincere Donald Trump a ridurre i dazi che il presidente americano minaccia di portare al 17 per cento con la lettera prevista in arrivo. Il tutto in vista delle trattative al tavolo bilaterale italo-americano che entrerà nel vivo a settembre. L’importante secondo il ministro è «permettere anche agli americani di esportare di più in Italia».

Perché «rispetto agli otto miliardi di euro che noi esportiamo, da loro noi importiamo solo 1,7 miliardi. E questo sbilanciamento li mette in sofferenza, inducendoli a una politica tariffaria che noi non condividiamo, ma che possiamo comprendere…». La bresaola rappresenterebbe dunque il più classico dei cavalli di Troia per provare a scardinare il sistema, aumentando le importazioni dagli Usa e portare il presidente americano a più miti consigli.

D’altra parte la filiera agroalimentare, vino e bevande inclusi, è un asset strategico per l’Italia, prima per valore aggiunto sulle filiere dei comparti manifatturieri, capace di generare il 19,8% del pil e con un export che accelera in maniera decisa dal 2010 a oggi secondo i recenti dati resi noti da TEHA Group – The European House Ambrosetti che certificano anche come la Lombardia sia la prima regione italiana per fatturato nel comparto agroalimentare e terza per valore delle produzioni certificate dop e igp. In tutto questo la bresaola vive un momento di grande affermazione: undicesimo prodotto per valore in Italia, con una quota di mercato globale del 29,1% e un dominio incontrastato del prodotto igp valtellinese.

E dunque che fare? «Ad oggi la bresaola non è ancora esportabile negli Stati Uniti a prescindere dalla materia prima – dice il presidente del Consorzio di tutela, Mario Moro – per cui il tema non si pone». Più pragmatico Claudio Palladi, presidente del Daq (Distretto agroalimentare di qualità della Valtellina), vicepresidente del Consorzio di tutela della Bresaola e amministratore delegato della Rigamonti, una delle maggiori produttrici del salume: «Se ci risolvono il tema dei dazi in importazione dall’extra Europa – dice anche un po’ provocatoriamente - perché non pensare alla materia prima statunitense? Tanto di carne europea ce n’è poca».

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