Recuperate le salme degli alpinisti morti in Nepal. «Alessandro era il simbolo della determinazione»

Sono state recuperate martedì mattina e trasportate in elicottero a Katmandu, per essere ricomposte nella camera mortuaria del Teaching hospital, le salme di Alessandro Caputo, 28 anni, di Milano, ma molto conosciuto in Valmalenco e di Stefano Farronato, 51 anni. A coordinare le operazioni Maurizio Folini, pilota di Chiuro

Lanzada

Sono state recuperate martedì mattina e trasportate in elicottero a Katmandu, per essere ricomposte nella camera mortuaria del Teaching hospital, le salme di Alessandro Caputo, 28 anni, di Milano, ma molto conosciuto in Valmalenco dove hanno casa i genitori e dove è cresciuto e si è formato nelle fila del locale Sci club e apprezzato anche fra i colleghi della Sankt Moritz ski school european snowsport, e di Stefano Farronato, 51 anni, arboricoltore, di Bassano del Grappa (Vicenza), intrappolati nella neve scesa copiosissima e prima del previsto ai 5200 metri di quota in cui si trovavano, nella notte fra giovedì e venerdì scorsi, al Campo 1 sulla via per la cima himalayana.

A presiedere da remoto alle operazioni di soccorso in quota con un velivolo della Kailash Helicopter, pilotato dal comandante Deepak Garbuja Pun, è stato Maurizio Folini, pilota di Chiuro, particolarmente addentro nelle vicende himalayane dato il suo contributo allo sviluppo dell’elisoccorso in quella zona, fondamentale per assicurare assistenza alle molteplici spedizioni che vi si svolgono.

«Sono stato in Nepal fino a domenica e, da subito, mi sono occupato di questa tragedia, ma le pessime condizioni meteo, con pioggia battente alle basse quote e neve incessante alle alte, non ci ha permesso di volare», assicura. «Lunedì sono dovuto tornare in Italia e da qui ho proseguito nel coordinamento delle attività di ricerca, frenetico, perché è solo grazie a una fitta rete di contatti cui attingere a tempo zero che si possono affrontare simili situazioni tenuto conto che, in Nepal, un elicottero non si alza in volo se non a pagamento».

E in questo senso fondamentale è stato l’apporto del Club Alpino Italiano, col quale i membri della spedizione, oltre a Caputo e Farronato anche Valter Perlino, 64 anni, di Pinerolo (Torino), alla guida della stessa, erano assicurati. Il Cai ha provveduto agli aspetti burocratici e assicurativi e, lunedì, l’elicottero della Kailash si è alzato in volo con a bordo tre sherpa guide alpine con la dotazione del soccorso appresso.

«Ha raggiunto prima il campo base», dice Folini, «poi, l’indomani mattina, con le coordinate corrette e dotato del sistema Recco, è salito al campo 1 e di lì a poco i corpi dei due alpinisti sono stati individuati e dissepolti dalla spessa coltre di neve per essere portati a Katmandu da dove, le salme, rientreranno in Italia».

E non è tutto perché Maurizio Folini è tutt’ora in contatto con la Kailash Helicopter e il Nepal per organizzare il soccorso anche sullo Yalung Ri, altra vetta himalayana dove il bilancio degli alpinisti morti e dispersi sotto la tormenta Montha è altissimo. Si parla di cinque morti, di cui tre italiani, Paolo Cocco, Marco Di Marcello, e Markus Kirchler oltre a dispersi.

Intanto, fra Milano, terra natale di Alessandro Caputo, la Valmalenco, terra d’elezione, e Sankt Moritz, luogo di lavoro, è un corto circuito di telefonate per sapere dell’accaduto, del rientro della salma e per portare conforto a mamma Giovanna e papà Matteo, da sempre villeggianti a Lanzada.

«Alessandro era il simbolo della determinazione», assicura Matteo Nana, direttore tecnico dello Sci club Valmalenco. «Da bambino non aveva i connotati dello sciatore provetto, ma non ha mai ceduto un istante ed ha dimostrato a tutti che se una persona vuole una cosa, la fa. Ha fatto della sua passione una professione, il maestro di sci, e ne eravamo tutti orgogliosi. In Nepal si è unito a persone esperte, non sprovveduti, mi spiace leggere i commenti taglienti su queste morti».

Alessandro e Stefano sono stati trovati avvolti nei loro sacchi a pelo, la neve li ha sommersi nel sonno. Erano rimasti solo loro al Campo 1, a 5200 metri, dopo aver raggiunto la vetta lunedì 27 ottobre. Perlino aveva dovuto mollare la presa a 6300 metri per via di una trombosi ed era tornato al campo base. I suoi amici erano rimasti al Campo 1 dove avevano l’attrezzatura in attesa degli sherpa per il trasporto della stessa, ma la neve, attesa due giorni dopo, li ha bloccati lì per sempre.

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