
Cronaca / Valchiavenna
Mercoledì 15 Ottobre 2025
La Valle Spluga si spopola: «Serve una zona franca per salvare la vera montagna»
In pochi anni, persi oltre la metà dei posti di lavoro e chiuse molte attività storiche. Il grido d’allarme di chi ci abita: «Meno tasse e costi più bassi per chi vive sopra i 700 metri»
Valle Spluga
«Un paio di mesi fa ha chiuso l’ultima macelleria che era rimasta, prima lo avevano fatto ristoranti e altre attività commerciali. Si dovrebbe creare, in Valle Spluga, un’altra zona extradoganale: servirebbero le agevolazioni fiscali di Livigno per continuare a far vivere i paesi. Il governo centrale dovrebbe diminuire le tasse. Facciano una zona franca nazionale per la vera montagna, quella sopra i 700 metri».
È l’appello a chi governa di Fabio Guanella, 71 anni, da cinquant’anni alla guida del Prestinee (forno, panificio e alimentari), attività di famiglia a Campodolcino – 1.100 metri di quota e 950 abitanti sparsi in micro contrade. È inoltre presidente del Soccorso Valle Spluga Amici dei Pompieri, fondato nel 1976.
«Nel 1975 – ricorda Guanella – i posti di lavoro che offrivano Madesimo e Campodolcino, a ogni stagione invernale ed estiva, erano circa 1.500-1.700 tra alberghi, negozi, ristoranti, bar e altri esercizi economici. Adesso siamo scesi a molto meno della metà. In poco tempo, negli ultimi anni, si sono persi in un batter d’occhio almeno 200 posti. Le due principali località turistiche della vallata alpina rappresentavano un’importante fonte di reddito per l’intera Valle Spluga e la vicina Valchiavenna. Ora l’ufficio postale tiene aperto tre giorni la settimana, la farmacia resta chiusa due giorni. In paese non c’è il pediatra e la guardia medica, se va bene, arriva da Chiavenna. Le cresime si fanno a Chiavenna, qui dunque non traggono benefici neppure i pochi locali rimasti aperti. La frequenza alla materna di Mese, per fare un esempio, costa alle famiglie 25 euro al mese, a Campodolcino invece sessanta. Non ci si può stupire, poi, se la montagna si spopola. E la responsabilità di ciò non è delle amministrazioni comunali, in quanto i sindaci non ricevono da Roma le risorse necessarie per offrire servizi migliori e a prezzi contenuti alla popolazione».
Il piccolo imprenditore invoca anche «costi della corrente più bassi per chi vive a certe quote. I contributi che devono versare le imprese per i dipendenti di questi territori montani dovrebbero essere alleggeriti e compensati dallo Stato. La montagna la si può aiutare davvero, evitando i rischi di spopolamento, in diversi modi, se si volesse: non dando incentivi a chi apre nuove ditte, ma sostenendo in modo concreto quelle esistenti che faticano a reggere e stanno morendo».
«Molti che non hanno ancora chiuso – prosegue – sono stati tentati dal farlo, in questa situazione di abbandono. Quando Enel ha automatizzato i servizi nelle centrali, i lavoratori sono stati costretti a trasferirsi a Mese: l’azienda energetica di Stato avrebbe dovuto, invece, pagare la benzina per i trasferimenti giornalieri sul fondovalle affinché restassero a vivere quassù. Come ha fatto l’importante impresa dolciaria Ferrero in Piemonte: lasciò gli operai sulle colline e propri pullman tutte le mattine andavano a prenderli per lavorare a valle e al termine della giornata lavorativa li riportava a casa».
C’è anche il caso della piccola frazione di Fraciscio, simbolo di un addio alle montagne per le difficoltà del viverci. «Una volta lassù – ricorda il battagliero Fabio Guanella – c’erano due mercerie, la latteria, tre alimentari, una macelleria. Non c’è più niente. A Starleggia due bar, un negozio di generi alimentari e quasi 600 residenti. E ora? Avevamo la presenza di Anas con la casa cantoniera. Qui nevica d’inverno, c’è bisogno di un presidio. Dobbiamo riprenderci la montagna che va vissuta. Io, per ora, non mollo. Ma non so fino a quando ce la farò, in queste condizioni di estrema difficoltà».
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