Uno dei principi base della fisica moderna è la terza legge di Newton: se un corpo esercita una forza su un secondo, allora toccherà attendersi una reazione del secondo sul primo, uguale e contraria. Tradotto, non è solo il dito a premere sulla pietra, ma anche la pietra sul dito. Perché, in fisica come nella vita, non esistono azioni isolate, ma una complessa alchimia di interazioni, di scontri, di cause ed effetti.
La sensazione, in queste ultime settimane, è che il centrodestra lecchese perduri in uno stato di apparente inconsapevolezza della legge di Newton. E che ogni sua parte comunichi, e agisca pure, come se ogni azione fosse isolata, sgombra di conseguenze e soprattutto di reazioni altrui. Il treno delle elezioni comunali 2026 è quasi sul punto di deragliare, ma tutti i passeggeri (e pure qualche macchinista) sembrano più occupati a individuarne la responsabilità che a rimetterlo sui binari. O, peggio ancora, a forzare il proprio dirimpettaio politico alla mossa definitiva. Quella che manderà in pezzi la coalizione una volta per tutte.
Prendiamo le candidature a sindaco di Lecco. E’ cosa nota che la Lega sostenga Carlo Piazza e FdI, invece, Filippo Boscagli.
Carlo Piazza, da anni afferente alla comunità politica dell’altro Piazza, Mauro, è un trentenne estremamente competente, che ha attraversato con grande dedizione diverse stagioni politiche e altrettante amministrazioni pubbliche, traendone esperienze di ottimo livello. Questo non è in discussione, il punto non è questo. Il punto è quale sia stata l’utilità politica di proporlo in contrapposizione a Filippo Boscagli.
Boscagli è in consiglio comunale da vent’anni, è una personalità conosciuta e stimata in città. Ha probabilmente minor cattiveria agonistica di altri suoi sparring partner e certamente il suo cursus honorum cittadino è quasi sempre stato circoscritto alla minoranza, dove si è più spesso spettatori che attori.
Resta il fatto che padroneggia temi lecchesi e coltiva relazioni pubbliche ormai da anni e ha quel brutto vizio di guadagnarsi sul campo il proprio consenso personale.
Se ne facciano una ragione i fan del meglio a discapito del bene: la candidatura di Filippo Boscagli (al di là delle insegne sotto le quali arriva) è il naturale esito degli ultimi vent’anni di centrodestra lecchese. Quello - tanto per intenderci - che ha visto i colonnelli uscire di scena per dedicarsi ad altro, le giovani promesse restare lettera morta e i semi di una nuova classe dirigente crescere nel terreno aspro dell’opposizione. Dove manca l’humus delle poltrone e il sole di una comunità politica matura.
Da questo punto di vista, risulta incomprensibile lo stillicidio del surrogato di primarie alle quali si sta esponendo il centrodestra lecchese. Gettare sul tavolo una candidatura contrapposta (che potrebbe costringere i livelli regionali a uscire dall’impasse con un terzo nome) ha certamente inasprito il clima.
Azione e reazione, appunto. Ma ce n’è per tutti.
Un po’ come Fratelli d’Italia che alza il ditino e dice che no, che se Boscagli non viene scelto come candidato sindaco (ma chi sarebbe, poi, l’interlocutore: Piazza, Romeo o Salvini?), allora neanche la presidente della Provincia Alessandra Hofmann va votata. Perché? Perché è della Lega.
Ora, la prima regoletta che insegnano a scuola approcciando alla matematica è di non sommare pere e mele. Nella fattispecie, un’elezione diretta (aventi diritto 38mila) con un’altra di secondo grado (aventi diritto, un migliaio di amministratori locali).
Un’altra regoletta facile facile che invece riguarda la politica è che chi si prodiga a tirar giù dal carro un’istituzione uscente (non un segretario, si badi bene, né un coordinatore o un capogruppo: un’istituzione) non fa il gioco né del proprio candidato né della coalizione. Perché è così che funziona. Un presidente uscente non rappresenta solo se stesso, ma un’idea di governo: una trama di relazioni e di dialogo di quasi quattro anni.
Servirebbe, insomma, la maturità politica di non depauperare la componente civica che ha sostenuto Hofmann, ad esempio, e la consapevolezza che non si parla di un segretario di partito, ma dell’unica istituzione di Lecco targata centrodestra dai tempi di Daniele Nava. Eppure, anche in questo caso, ha prevalso l’insostenibile leggerezza di alzare i toni e mirare allo scontro.
Azione e reazione, come si diceva. E intanto il treno (non quello dei desideri, ma quello elettorale) all’incontrario va.
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