
Chiunque ami le pellicole di Sorrentino (perché Sorrentino si ama o si odia), sa perfettamente che esiste una precisa cifra stilistica che emerge nei passaggi di trama più intensi. Vale a dire che il cambio di prospettiva, o talvolta il colpo di scena, è quasi sempre introdotto dalla comparsa di un elemento estraneo e casuale. Come un colpo di vento improvviso, ma più grottesco e simbolico. Lo skate con il tritolo nel Divo, i fenicotteri rosa della Grande bellezza, e via dicendo. Perché in fondo – ma questa è una lezione che affonda le radici ben prima di Sorrentino - niente più del grottesco è in grado di sparigliare le carte. Nella vita, e pure in politica.
Fino a una settimana fa la condizione del centrodestra lecchese aveva un che di tragicomico. Nomi di possibili candidati che venivano bruciati senza nemmeno essersi presi la briga di conquistare un titolo di giornale, ripicche incrociate degne di una pellicola dei fratelli Marx. E quella fatica tremenda a toccare palla che pareva aleggiare sui partiti, sui loro rappresentanti in consiglio comunale, sulle tristi stanzette nelle quali ormai si consumano le kermesse locali e le bizzarre elezioni di segreterie che ormai contano più posti che candidature.
Poi, il colpo di scena in perfetto stile Sorrentino. Tre o quattro folate di vento che ridiscendono il lago a pelo d’acqua, la ruota panoramica sollevata di peso e ribaltata indietro. Grazie al cielo, senza che nessuno si faccia male.
Improvvisamente, l’inerzia è cambiata. I colonnelli di centrodestra ritrovano vigore: l’immagine dello scheletro morente della giostra abbattuto sul lungolago, del resto, è troppo palese. La città ne parla in ogni bar, in ogni conciliabolo. L’opposizione, forse un po’ per noia o forse per celia (direbbe quello), s’infila i guantoni. Mena qualche cazzotto, strappa titoli di giornale, spazi pubblici e pure una commissione garanzia in Comune. Ma soprattutto pare finalmente sintonizzarsi sul vibrato della gente, questo sconosciuto. Una lunghezza d’onda che avevano pressoché ignorato per cinque anni, preferendo spaccare il capello sul Bione e Linee Lecco piuttosto che dar retta ai discorsi, e pure ai sondaggi, che parlavano solo di maranza e traffico.
Ma non basta. Perché il destino ha in serbo un’altra buriana. E qui non è nemmeno più Sorrentino, siamo praticamente ad Arthur Miller. Mezzanotte di domenica scorsa, esattamente sette giorni dopo la ruota. Fuochi d’artificio appena spenti, il luogo è la piazza virtuale dei social. Protagonisti: un cittadino incavolato e l’assessore Durante. Sceneggiatura: il post che critica due o tre mattonelle di largo Montenero, l’ingresso in scena dell’assessore con profilo anonimo, le “saracche” virtuali, lo svelamento di Alessandra Durante. Subito dopo, è l’una di notte, le scuse su Instagram. Mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa. Il giorno dopo, la valanga. Di nuovo, il centrodestra che ritrova un po’ di vigore, il caso che arriva al livello nazionali (quello dei giornali, ma anche le discariche subumane di qualche gruppo social di successo). Tra parentesi, non si capisce di cosa si dovrebbe discutere: Alessandra Durante resta una persona ammirevole e di specchiata onestà, esattamente come il suo errore resta marchiano, grottesco, pagabile solo in valuta politica, e quindi con le dimissioni (accolte ieri da Gattinoni). Fine, e piazza pulita di farisei, inutili plotoni di esecuzione e beatificatori di convenienza.
C’è però un assioma che resta sul tavolo. Chiunque conosca la politica sa bene che menar cazzotti non è condizione sufficiente a vincere (e convincere, come dicono i soloni del calcio). Menar cazzotti serve, casomai, a crearsi spazio politico. Margine di manovra. A levare un po’ di mondi e un po’ di consensi dalle mani dell’avversario. Poi però quello spazio bisogna riempirlo. Di contenuti, di idee, di uomini dignitosi, di teste pensanti. Di quel concetto sublime che un tempo era l’ideologia politica e che oggi gli amanti del marketing sviliscono con il termine narrazione.
Cosa pensano di Lecco i partiti di destra? Quale città vogliono? Servendosi di quali volti vogliono edificarla? Perché, intendiamoci, lì dentro ci sono volti che sono malta e altri che sono sabbia. Il centrodestra, è vero, pare essersi destato dal torpore, ma il cammino è ancora lungo.
C’è da costruire una mentalità di governo che manca da quindici anni, competenze che esistono solo fuori dai partiti, relazioni reciproche in ghiacciaia, fili spezzati con gli ingranaggi amministrativi e associativi che da un decennio reggono le sorti del territorio. In tutto questo,
Gattinoni è saldamente il favorito e ha pure in mano il jolly di tre o quattro nastri pesanti da tagliare. Se qualcuno, dall’altra parte, vuole scendere in campo, non ci sarà momento migliore di questo. Altrimenti, tanto vale arrendersi alla grande bellezza di altri cinque anni in panchina.
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