Una legge per il voto a misura di elettori

Non fatta la legge, trovato magari non l’inganno, ma l’artifizio. Visto che il premierato sembra impantanato nelle sabbie mobili del Parlamento, il premier Giorgia Meloni, in attesa del semaforo verde - che rischia di accendersi solo nella prossima legislatura -avrebbe trovato una scorciatoia. Che passa per la legge elettorale. A molti di voi lettori l’argomento provoca l’alopecia a chiazze. Già andare a votare interessa sempre meno, figuriamoci addentrarsi nei meccanismi che regolano la scelta di coloro chiamati “rappresentanti del popolo”.

Eppure, proprio la norma può essere una delle ragioni per la disaffezione: se infatti si tolgono le preferenze (sparite ormai da illo tempore) gli eletti non li scelgono i cittadini, bensì le segreterie di partito che decidono le posizioni in lista. A questo punto tanto vale che facciano tutto loro, senza scomodare la gente.

L’idea che Meloni avrebbe sottoposto anche ai rivali del Pd, principale forza di opposizione, a quanto dato a sapere, non approfondisce la materia. Se però, come si narra, è modellata su quella per le elezioni regionali, le preferenze ci sarebbero. Vale la pena di ricordare che la possibilità di indicare sulla scheda il nome di chi si voleva mandare a Roma è stata cancellata negli anni di Tangentopoli, travolta dalla spinta dell’antipolitica.

Durante la Prima Repubblica si potevano esprimere più preferenze. Questo scatenava l’ingegno dei partiti che, a forza di incroci, facevano trionfare il manuale Cencelli, accontentando un po’ tutte le correnti. Alla fine, si potrebbe dire, se non è zuppa, ma pan bagnato. Decidevano comunque le segreterie. Con una differenza rispetto a oggi: era comunque necessario che l’elettore, sia pure imboccato e spedito in cabina con in tasca il foglietto con i nomi e il numero in lista, dovesse comunque riportarlo a mano sulla scheda.

Oggi è solo chiamato a fare una croce su un elenco di nomi, sapendo che il primo avrà ottime chance di conquistare un seggio e l’ultimo quasi nessuna. Un referendum aveva cancellato la pluripreferenza e introdotto quella unica. Anche se la scelta si restringeva e ai partiti restava comunque la possibilità di suggerire il prescelto, contava la volontà di chi votava. Ora restano solo le primarie, per chi le fa.

Vedremo con la nuova legge elettorale, ma non c’è da essere ottimisti: difficile che i segretari di partito rinuncino alla possibilità di premiare i propri fedelissimi, evitando, come avveniva ai tempi di un parlamentare comasco ora scomparso, di trovarsi mozioni contro il governo guidato dal leader della stessa forza politica a cui questo personaggio apparteneva.

La legge elettorale voluta da Giorgia sulla falsariga di quella regionale prevede l’indicazione del presidente del Consiglio, che sarebbe così eletto direttamente. Un premierato di fatto, che peraltro è già in essere, visto che quando si va a votare con l’attuale sistema che impone le coalizioni sulla scheda, si sa che il capo della forza più votata riceverà l’incarico di formare il governo dal presidente della Repubblica, che, con questa riforma elettorale, sarebbe però privato di questo potere.

E visto che, con ogni probabilità, il prossimo inquilino del Colle potrebbe essere, per la prima volta, un esponente del centrodestra, il rischio del corto circuito è evidente.

E certo questa legge non farà piacere a chi, come il segretario della Lega, ha il proprio nome che anticipa la parola “premier” nel simbolo. Perché è chiaro che il candidato a palazzo Chigi, in caso di coalizione, sarà uno solo. Un problema che si rispecchia anche nel centrosinistra.

Già mettere assieme un’alleanza non sarà facile, figurati poi se, a correre per la presidenza del Consiglio, dovesse essere il leader del principale partito, cioè il Pd.

Chi glielo dice a Giuseppe Conte, che sogna il ritorno a palazzo Chigi una notte sì e una no?

Insomma, non sarà facile risolvere il rompicapo della nuova legge elettorale. Ma una cosa è certa: se si tornasse a votare con quella attuale e senza le preferenze, ci sarà un Parlamento scelto da pochi intimi.

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