Urne deserte: serve uno sforzo comune

Un auspicio e una proposta. Il primo scaturisce dalla novità dell’anno che altro non può essere se non l’apertura a novembre del Teatro della Società dopo otto anni di annunci, ritardi, ostacoli, revisioni, soffitti e s’innesta, a contrariis, nel desiderio che al più presto cali il sipario sul teatrino della politica. La seconda la tengo per il finale di questo pezzo così il lettore, magari per curiosità, arriverà sino in fondo.

Ora c’è una Fondazione che dovrebbe occuparsi della programmazione e delle risorse e, sinceramente, ho sempre ritenuto e anche scritto che il Teatro dovesse diventare un istituto autonomo sulla scia dei tanti, ora barcollanti, “Stabili” sparsi per la Penisola. Mi fido dei privati vista anche la prova del Comune in questi lustri, ma so per esperienza, che a Lecco non è facile la raccolta delle noci, venuta così bene a Fra Galdino.

A Bergamo il Donizetti, autentico gioiello, è costato 18 milioni di euro, metà finanziati dal pubblico e metà dal privato. Un’analoga operazione in città ha le stesse probabilità di successo di un vigneto coltivato sulla spiaggia di Rimini.

Ma occupiamoci ora del fervore politico, diciamo così, che sta accendendo il dibattito in previsione dell’elezione di primavera 2026, che dopo 6 anni rinfrescheranno la fauna municipale, visto che alla flora ha già provveduto l’assessore Maria Sacchi. Ricapitoliamo: nel centrosinistra Mauro Gattinoni è candidato da quasi un anno e ufficializzato da un paio di settimane. Eppure dopo la roulette del 2020 corre ancora sul filo del rasoio a causa delle continue defezioni all’interno del Pd con autorevoli esponenti che stanno organizzando una terza lista non potendo, per ideologia, schierarsi con la destra ma neppure perdonare un sindaco e una segreteria cittadina che li ha trattati a pesci in faccia.

Così come nutro perplessità sulla Ambaradan in corso nel centrodestra che provo a riassumere con un fotogramma registrato nella trasmissione politica di UnicaTV condotta da Stefano Spreafico con me opinionista fisso. Abbiamo chiesto a Filippo Boscagli di Fratelli d’Italia le ragioni della sua candidatura e abbiamo poi girato lo stesso quesito a Carlo Piazza, espressione della Lega e di Forza Italia. Ebbene: pur nutrendo seri dubbi sulla validità e l’opportunità delle due candidature, ho anche sottolineato come l’ipotesi del ticket lanciato da Piazza mi sembrasse un bel modo per guardare alla squadra, per cementare l’alleanza tra le forze della coalizione e soprattutto infrangere quel muro di veti e controveti che sembra diventata la cifra del centrodestra, come si evince anche dalle schermaglie che attraversano la geopolitica italiana.

Ebbene, Boscagli ha risposto che, ovviamente, farebbe lui il sindaco con Carlo vice in ragione della vita passata in consiglio mentre Piazza ha rovesciato la risposta affermando di rappresentare la novità e la gioventù con il sostegno dei maggiorenti della sua area. Voi capite che da queste posizioni non s’arriva neanche a Rivabella. Ma santo cielo: se dopo la lunga marcia all’opposizione i due contendenti non si mettono d’accordo fra loro e annunciano di aver trovato la “quadra”, come avrebbe detto Umberto Bossi, a me cascano le braccia e mi vengono in mente le liti condominiali per le luci in giardino. Ammesso e non concesso che i due nomi restino in lizza, si disputeranno la poltrona alla morra?

Io credo che il centrodestra abbia ben altre carte da giocare, in grado di garantire un cambio di passo, per dirla alla Gattinoni, e proiettare Lecco negli anni a venire, senza dimenticare che il nostro territorio ha conquistato la stima e i mercati del mondo con un’imprenditoria all’avanguardia, con un commercio avanzato, con un volontariato invidiabile e che sarebbe delittuoso lasciare ai margini questo universo carico di competenza e concretezza.

E veniamo alla proposta: dopo il voto nelle Marche che ha sì registrato la vittoria di Francesco Acquaroli targato Giorgia e il fallimento del campo largo, ma soprattutto ha messo a fuoco una volta di più la diserzione alle urne, il 10 per cento in meno rispetto all’ultima consultazione e che, in termini assoluti, anche chi ha vinto ha perso per strada migliaia di voti. Eppure per tre giorni nei talk la solita compagnia di giro dei politici e degli opinionisti che ormai hanno la branda negli studi si è analizzato il risultato intrecciando Gaza, i movimenti pro Pal con le questioni locali senza accorgersi che il cittadino comune è infastidito e disgustato dalla politica e che per lo più il suo orientamento è ispirato dal portafoglio, specie davanti ai costi della sanità, della spesa quotidiana, dei figli all’asilo e a scuola e degli anziani nelle Rsa.

Siccome mancano otto mesi o giù di lì all’appuntamento elettorale lecchese, che noi seguiremo come i tempi impongono su sito, giornale e tv, ma cercando di non asfissiarvi e tediarvi, perché i partiti di quello che una volta si chiamava l’arco costituzionale non attrezzano un gazebo permanente, trasversale, plurale nel quale a turno spieghino ai passanti, specie nel fine settimana le ragioni per non andare al mare? Ne gioverebbero la città, i partiti, i candidati, la società nella sua interezza e almeno terremmo alta la bandiera che per oltre mezzo secolo ci ha vista visti in cima alle classifiche della partecipazione. Va da sé che non vorremmo ricorrere alla lanterna per conoscere idee e progetti. Noi saremo a fianco di un guizzo civico di nobile natura e potremmo diventare un modello italiano, un modo nuovo per valorizzare la mia amata lecchesità.

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