
In qualunque trattativa, che sia umana o sportiva o politica, c’è sempre un punto di non ritorno che separa l’impegno ostinato di trovare un accordo a qualunque costo dalla tentazione irrefrenabile di chiudere i canali, mollare ogni ormeggio e veleggiare verso i lidi ignoti del “vedere l’effetto che fa”.
La sensazione, in questi giorni tardo estivi, è che il centrodestra lecchese stia camminando a passo deciso precisamente verso quel punto. Tanto per essere chiari, significherebbe vedere Lega e Fratelli d’Italia mandarsi al diavolo e tentare l’avventura in solitaria alle elezioni comunali della prossima primavera. Il che, come insegna anche il sindaco comasco Alessandro Rapinese (terzo nei sondaggi, secondo al primo turno, vincente al ballottaggio) non è di per sé un autogol. Certo, come ha suggerito anche Marco Calvetti da queste stesse colonne, serve un programma, un progetto per la città.
Chi ad esempio ne aveva uno, nel 2015, era Lorenzo Bodega: l’ex borgomastro ha rischiato di presentarsi al ballottaggio contro Virginio Brivio senza nemmeno essere accompagnato dai simboli di Lega e Forza Italia. Gli sono mancati un migliaio di voti, niente di più.
Ad avere il senso della classica ultima goccia nel classico vaso è stato, pochi giorni fa, il passaggio di Emilio Minuzzo e Simone Brigatti a Fratelli d’Italia. Il tutto annunciato (nemmeno troppo in pompa magna) dal numero uno provinciale dei meloniani, Alessandro Negri.
Ora, Negri è risaputamente una colomba del partito, uno che se può chiudere un accordo e stringere una mano lo fa ben più volentieri di progettare assalti all’arma bianca. Si può quindi supporre che abbia voluto gestire con un certo savoir-faire la migrazione politica. Che, però, un peso lo ha. E non potrebbe essere altrimenti.
Punto primo, Fratelli d’Italia si prende in casa un consigliere provinciale (Brigatti), oltre a un consigliere comunale (Minuzzo) che un mese e mezzo fa era stato proposto come candidato sindaco dal proprio gruppo civico. Gruppo che, però, è andato sfaldandosi sotto i colpi delle altrui annessioni. Lorella Cesana e Peppino Ciresa hanno di fatto seguito la linea regionale di Lombardia Ideale e appoggiano la candidatura a sindaco di Carlo Piazza; Gianni Caravia si appresta a rientrare alla base Forza Italia; Brigatti e Minuzzo, per l’appunto, in Fratelli d’Italia. Fine delle velleità civiche in Lecco merita di più (e, pare, di qualche scaramuccia riguardo l’uso e la proprietà del simbolo).
Punto secondo, viene di fatto messa a referto la conclamata spaccatura tra la comunità politica che fa riferimento a Mauro Piazza (che in ogni caso a Lecco ha dimostrato di portare più voti alla Lega di quanti il Carroccio ne porti a lui) e il resto del mondo. La novità degli ultimi due anni, però, è che ora Fratelli d’Italia possa rappresentare una scelta spendibile per chi non intende sposare la causa di Piazza, ma nemmeno votarsi all’inconsistenza di qualche cespuglio elettorale. Con il passaggio di Filippo Boscagli prima, e ora di Minuzzo e Brigatti, Fratelli d’Italia prova a rincorrere la Lega verso l’obiettivo di contare più del proprio steccato identitario.
Punto terzo, i rapporti reciproci. Nelle ultime settimane, proprio dalle colonne di questo giornale, abbiamo assistito allo scambio di battute, tutto sommato corretto e propositivo, dei due candidati sindaci in pectore: Carlo Piazza per la Lega e Boscagli per FdI. All’interno delle rispettive cerchie, però, pare di cogliere sentimenti tutt’altro che edificanti. La politica, si sa, vive anche e soprattutto di avversioni reciproche e mal di pancia. Gli elettori poco inclini ai retroscena si stupirebbero nello scoprire quante e quali scelte politiche – parecchie li riguardano anche direttamente – si consumano nel segno della categoria umana dell’antipatia.
Altro che realpolitik. In questo senso, il conflitto politico latente tra Piazza e Zamperini, rispettivamente sottosegretario in quota Lega e consigliere regionale FdI, pare ormai essersi allargato ai rispettivi partiti, dirigenti, alleati, rappresentanti. E questo, ovviamente, non facilita l’unico compito che avrebbe il centrodestra locale. Vale a dire presentarsi alle segreterie regionali dei tre partiti di coalizione asserendo di avere un nome. Uno solo, gradito e condiviso. Grazie e arrivederci.
Ci sarebbe, per la verità, un elemento che potrebbe far scoppiare la pace o, perlomeno, rintuzzare in un angolo tutte le altre schermaglie. La società civile.
Ma, fateci caso, il centrodestra (come in buona parte anche la sinistra, intendiamoci) ne è drammaticamente esente. Non c’è un nome che esca dal gioco dei simboli, un professionista pronto a fare il passo in avanti, una figura terza rispetto alle due comunità in grado di fare da garante.
Di qui, insomma, la domanda iniziale: quanto è distante quel punto di non ritorno, giunti al quale vedremmo la corsa in solitaria dei due Piazza (lo slogan è già scritto) o il gruppo di moschettieri meloniani trottare a sostegno di Boscagli? Non è dato sapersi.
Aleggia però la più importante delle domande. Cui prodest? A chi gioverebbe uno strappo definitivo, una corsa in solitaria, questo “vediamo l’effetto che fa”? Al centrodestra stesso che poi si ritrova al ballottaggio, ai lecchesi che potrebbero ricevere un’offerta politica più coerente, a Gattinoni che divide et impera, alla sinistra che fa il bis o ai diretti interessati che tutto sommato rimandano la resa dei conti a tempi migliori? Una domanda che, direbbe qualcuno, soffia nella Breva.
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