Fuga del personale sanitario, Uil Fpl: «Serve indennità di confine». Ravizza: «L’attrattività dell’estero rimane comunque alta»

Continua a far discutere il tema del possibile “esodo” di lavoratori del comparto sanitario, in primis infermieri, verso le province in cui sarà garantita un’indennità di confine, ovvero Como, Varese e Sondrio

Lecco

La notizia del possibile “esodo” di lavoratori del comparto sanitario, in primis infermieri, verso le province in cui sarà garantita un’indennità di confine, ovvero Como, Varese e Sondrio, non trova impreparata la Uil Fpl che ribadisce, ancora una volta, che la “tassa sulla salute” ai danni dei lavoratori frontalieri è sbagliata e ingiusta.

“Abbiamo consegnato nelle mani del governatore Fontana oltre 1.100 firme di lavoratrici e lavoratori della sanità del nostro territorio. Chiediamo fortemente alla Regione Lombardia quando i medici, sanitari e socio-sanitari vedranno finalmente il riconoscimento dell’indennità di confine. Vogliamo essere molto chiari: ci aspettiamo che questa indennità venga riconosciuta come promesso e che le risorse necessarie non siano sottratte ad altri lavoratori”.

L’indennità di confine è un compenso aggiuntivo destinato ai lavoratori che operano nelle aree prossime al confine svizzero, volto a compensare le difficoltà e i costi aggiuntivi legati alla loro particolare situazione lavorativa. “Le risorse economiche per finanziare questa indennità ci sono e devono essere prese dai ristorni che la Svizzera versa annualmente ai comuni interessati – spiega il segretario generale Uil Fpl del Lario e Brianza Massimo Coppia -. Inoltre, proponiamo l’istituzione di una Zona Economica Speciale (Zes) per chi lavora e vive in prossimità del confine svizzero e delle città limitrofe interessate dall’emorragia di personale verso la svizzera . Da anni chiediamo che questo includa una “Tax Pax”, ovvero una detassazione sugli stipendi dei lavoratori della sanità. La combinazione di queste due misure sarebbe sufficiente a fidelizzare il nostro personale, rispondendo così alle esigenze evidenziate aziendali e territoriali”.

Naturalmente Coppia sa bene che non bastano incentivi fiscali o economici se poi i nostri medici e i nostri infermieri sono “espulsi” dalle comunità dove lavorano per mancanza di case in affitto o affitti troppo alti, tipici delle località turistiche: “E’ necessario – continua Coppia - un welfare regionale e territoriale che metta la casa al centro, con affitti calmierati. Se si vogliono reclutare professionisti nel settore sanitario, è fondamentale agire su questo fronte. Senza appartamenti a canone equo o a prezzi calmierati, il personale sanitario non si presenterà nemmeno ai concorsi. Questa è una fase importante e, se non si crea un sistema integrato con tutti gli attori istituzionali, sarà difficile ottenere risultati concreti. Proponiamo la creazione di una cabina di regia che coinvolga il sindacato della funzione pubblica e quello confederale, che ha una visione più ampia. Ci piacerebbe capire quando la Regione Lombardia convocherà il sindacato per discutere di queste proposte”.

Pierfranco Ravizza, presidente Omceo (Ordine dei medici chirurghi e odontoiatri), invece non cambia idea: per lui la soluzione dei problemi di una sanità “di confine”, come la nostra, non saranno mai risolti da indennizzi più o meno corposi.

“Non entro nel merito dello stipendio degli infermieri e di quanto valga l’indennità. Per quanto riguarda i medici il problema dell’attrattività dei professionisti all’estero è un problema economico ma di altro tipo: l’attrattività dell’estero rimane alta anche con queste indennità. Lo stipendio svizzero è doppio o triplo rispetto allo stipendio italiano e un’indennità del 10 per cento è diversa da uno stipendio aumentato del 200-300 per cento in più. È una attrattività che non può essere intaccata dal più benevolo provvedimento di Stato che si possa concepire. Se dedicassero il 3 per cento del Pil alla Sanità e non al riarmo, allora si potrebbe ragionare di aumentare sensibilmente gli stipendi a infermieri e medici. Ma così…”.

Sicuramente ci sono però delle cose che possono rendere più facile la vita del personale sanitario, dagli infermieri ai medici: “Se Regioni e Stato si muovessero con coerenza, allora si potrebbe pensare a qualcosa. Lo Stato sta cercando di fare qualcosa, per esempio sui controlli dell’appropriatezza delle prestazioni per eliminare le liste d’attesa. Ma utilizzare i Nas... Questo perché le Regioni non controllerebbero bene la spesa sanitaria. Si fanno i salti mortali per evitare la medicina difensiva (ovvero l’eccesso di prescrizioni per evitare denunce per “mancata prescrizione” di visite ed esami, n.d.r.), perché tutti accusano i sanitari di non fare mai il massimo del massimo, e poi ci mettono i Nas sopra. Beh, la nostra vita è ancora più complicata. Al di là dei proventi”.

Anche perché, al di là delle premialità o meno, c’è chi approfitta delle “falle” del sistema per aumentare prescrizioni inutili: “Bisognerebbe parlare del sovraffollamento sanitario in alcuni settori – osserva Ravizza -. Siamo molto critici sulla liberalizzazione della pubblicità sanitaria. Vent’anni fa l’ordine giudicava tutta la pubblicità sanitaria, e non, con grande rigore. Oggi, invece, la pubblicità di questo tipo passa su tutti i canali perché è concessa, salvo non risulti marchianamente scorretta o non abbia caratteristiche che ricadano sotto la giurisdizione penale. Ma questo genera pretese di ogni tipo: dalla giovinezza infinita, alla promessa dell’eternità. Così visite, esami, magari inutili, grazie a queste pubblicità aumentano in maniera esponenziale”.

Ma qualche premialità ci potrebbe essere? È concepibile? Per il presidente provinciale dei medici il discorso è troppo complesso: “Ci sono disallineamenti tra zone che hanno promosso incrementi di stipendio e zone che non l’hanno fatto. O tra chi ha promosso contributi in più e chi meno. Il discorso è complicato. Difficile da gestire un sistema previdenziale così diverso, tra Stato e Stato. So che anche i medici che lavorano all’estero, e vanno avanti e indietro, non sempre riescono a mettere a posto la previdenza. Sono assistiti troppo diversamente, i vari sistemi. E nel calderone di queste regole, in cui nessuno prende soluzioni definitive, qualcuno rimane svantaggiato, se non “fregato”, ma è questione di ingranaggi difficili da incastrare. La materia è sofisticata e sono quasi ignaro di questi meccanismi”.

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