Inflazione a Lecco: + 431 euro all’anno a famiglia

Il dato colloca il capoluogo al 31° posto nella classifica nazionale delle città più care: non tra le più virtuose, ma lontana dalle zone rosse del rincaro

Lecco

A luglio l’inflazione a Lecco cresce, ma resta sotto la media nazionale. La percezione di un carrello della spesa sempre più caro è diffusa, ma i numeri raccontano una realtà meno pesante rispetto ad altre città italiane. Secondo i dati Istat, rielaborati dall’Unione nazionale consumatori, nel mese di luglio l’inflazione nel capoluogo lecchese si è attestata a +1,5%.

Tradotto in termini concreti, significa 431 euro in più all’anno per una famiglia media. Il dato colloca Lecco al 31° posto nella classifica nazionale delle città più care: non tra le più virtuose, ma lontana dalle zone rosse del rincaro. Il confronto con altre realtà è netto. Rimini guida la graduatoria con un tasso di inflazione del +2,8%, pari a 771 euro annui in più per nucleo familiare. Seguono Bolzano (+2,2% e +730 euro) e Belluno (+2,6% e +678 euro). Poco sotto si piazzano Pistoia, Padova e Arezzo, con aumenti compresi tra i 622 e i 649 euro. Chiudono la top ten Trieste, Verona, Lucca e Siena. All’altro estremo, Pisa segna l’inflazione più bassa del Paese (+0,6%, +162 euro), seguita da Campobasso (+0,7%, +144 euro) e Benevento (+0,8%, +188 euro).

A livello regionale, la Lombardia si ferma a +1,3% di inflazione media, corrispondente a un aggravio annuo di 384 euro per famiglia, piazzandosi al dodicesimo posto nella classifica delle regioni. I rincari maggiori si registrano in Trentino-Alto Adige (+1,9% e +587 euro), Veneto (+2% e +537 euro) e Friuli-Venezia Giulia (+1,8% e +493 euro). «Qualche segnale di aumento dei prezzi lo notiamo, soprattutto nel settore alimentare — spiega Roberto Erba, presidente di Federconsumatori Lecco — Speriamo si tratti di un fenomeno passeggero, perché l’autunno potrebbe riservare sorprese. Tra l’andamento incerto dei mercati internazionali e il tema dei dazi, che rischia di avere effetti indiretti sui beni importati, il quadro è ancora in movimento. Settembre e ottobre saranno mesi chiave per capire se la tendenza si stabilizzerà o se assisteremo a nuove pressioni inflattive».

Erba sottolinea che, al di là della percezione diffusa, non c’è stata un’impennata di segnalazioni legate ai rincari dei beni di largo consumo: «Non riceviamo più lamentele del solito su prezzi di pane, pasta o frutta. Piuttosto, le criticità che ci vengono riportate riguardano le tariffe telefoniche e dell’energia, dove la situazione resta problematica. In questi ambiti, pur con oscillazioni periodiche, i costi per i consumatori restano alti e spesso poco trasparenti».

Il dato lecchese, pur inferiore alla media nazionale dell’1,7% (pari a 427 euro annui di rincaro per una famiglia tipo), va letto anche alla luce delle dinamiche settoriali. L’energia, dopo i picchi legati alla crisi geopolitica e alle forniture internazionali, ha rallentato la corsa ma continua a pesare sui bilanci domestici. L’alimentare, invece, resta esposto a oscillazioni legate sia alla stagionalità sia alla volatilità delle materie prime.

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