
Omicidio stradale di Jennifer Alcani: a Fusi concesse le attenuanti
Il gup ha condannato a tre anni il 23enne e disposto risarcimenti immediatamente esecutivi fino a 50mila euro. Delusione dei familiari: «Nessun segno di pentimento, valuteremo l’appello»
Abbadia Lariana
La sentenza è arrivata dopo una breve camera di consiglio ed è stata accolta con profondo disappunto dai familiari di Jennifer Alcani. Tre anni di reclusione a Massimo Fusi, 23 anni, lecchese: il giovane che la notte del 10 gennaio scorso, alla guida della Bmw Serie 1 lanciata a 150 all’ora lungo la provinciale 72 ad Abbadia Lariana, si schiantò contro un muro causando la morte della ragazzina di soli 13 anni.
Il pubblico ministero Chiara Di Francesco aveva chiesto tre anni e otto mesi. Il gup Gianluca Piantadosi, celebrando il processo con rito abbreviato, ha ridotto la pena e disposto per l’imputato anche la sospensione della patente per quattro anni. In aula, il tribunale ha stabilito risarcimenti immediatamente esecutivi: 15mila euro ciascuno a nonni, zii e cugini, e 50mila euro ai genitori di Jennifer, costituitisi parte civile.
Grande amarezza è stata espressa dall’avvocato di parte civile Marcello Perillo: «Non possiamo ritenerci soddisfatti. All’imputato, attualmente ai domiciliari in comunità, sono state concesse attenuanti generiche, nonostante non abbia mai chiesto scusa né mostrato segni di pentimento. È probabile che solleciteremo l’appello del pm con una memoria scritta».
In difesa di Fusi, l’avvocato Marco Possenti ha invece insistito sull’esclusione dell’aggravante della guida sotto l’effetto di stupefacenti, contestata dalla procura ma non ritenuta influente dagli accertamenti: la concentrazione sarebbe stata troppo bassa per incidere sulla capacità di guida.
Quella notte Jennifer era stata convinta da Fusi e da un amico 19enne a uscire di nascosto con la scusa di restituirle alcuni oggetti. Una scelta fatale, che ha spezzato la sua vita e sconvolto la famiglia. La madre, che la sera l’aveva salutata nella sua camera, fu avvisata all’alba dai sanitari dell’ospedale: un dolore indicibile, di fronte al quale – ha ricordato il legale – «nessun genitore dovrebbe mai trovarsi».
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