Tragedia al Fly Emotion, l’ombra dell’errore umano

Le prime risultanze dalla perizia disposta dalla Procura di Sondrio all’indomani della tragedia. Un addetto non avrebbe fatto inserire, in modo corretto, le gambe della turista negli appositi sostegni

L’addetto di Fly Emotion non avrebbe fatto inserire, in modo corretto, le gambe della turista di origini marocchine negli appositi sostegni, nell’ordinaria parte dell’aggancio della zip-line, per tenerne il corpo sempre in posizione orizzontale durante l’intero tragitto.

A un certo punto Ghizlane Moutahir, 41 anni, che risiedeva a Sant’Angelo Lodigiano, in provincia di Lodi, dove da qualche tempo si era trasferita con il marito Lehbib Machal dopo essere vissuti a lungo a Oliveto Lario, nel Lecchese, durante la traversata dalla partenza da Albaredo assume una posizione obliqua. Ma non riesce, per la pendenza e forse per il suo peso leggero, a raggiungere la stazione di arrivo posta a Bema.

Il corpo in stato verticale

A un certo punto si blocca, all’improvviso, a una trentina di metri dal traguardo. Di colpo, il corpo scivola in uno stato verticale, in quanto le gambe non sarebbero, infatti, state bloccate come avrebbero dovuto essere. Anche l’incaricato a verificare che tutte le procedure di “imbarco” fossero state eseguite in modo corretto, prima di dare l’ok alla partenza, non si sarebbe reso conto che qualcosa non andava.

E così la 41enne escursionista straniera si trova appesa, con le sole braccia e senza un appoggio sotto i piedi, ai tubolari dell’impianto. Resterà in quella drammatica situazione per circa quindici, lunghissimi minuti, vi resiste stoicamente con la sola forza delle braccia, ma la fatica è notevole e non ce la fa più, cede e precipita nel vuoto finendo per schiantarsi sulle rocce del sottostante dirupo dopo un salto di alcune decine di metri. Il suo corpo, purtroppo privo di vita, verrà in seguito recuperato dai militari del Sagf-Soccorso alpino della Guardia di finanza con i colleghi del Cnsas Stazione di Morbegno.

Sono queste, in estrema sintesi, le prime risultanze che emergerebbero dalla perizia disposta dalla Procura di Sondrio, all’indomani della tragedia sulle Orobie avvenuta in Valtellina lo scorso 5 maggio, sull’eventuale stato di usura dell’imbracatura e sulla visione dei filmati, uno dei quali effettuato con uno smartphone da una nipote della vittima che quel giorno, poco prima, aveva anch’essa provato l’ebbrezza della traversata sospesa nel vuoto sulla valle del Bitto fra i due borghi alpini nella provincia più a Nord della Lombardia. La ragazza, poi, aveva voluto filmare l’“impresa” della zia e così, del tutto involontariamente, aveva ripreso le sequenze del drammatico incidente mortale. Un video successivamente diventato utile alle indagini condotte dagli esperti militari del Sagf di Sondrio, su delega della Procura diretta da Piero Basilone.

Gli indagati

La perizia non è ancora stata depositata, dovrebbe esserlo a breve, non c’è dunque ancora alcuna ufficialità sull’esito, ma dalle prime indiscrezioni parrebbe che la disgrazia sia riconducibile a un errore umano, forse commesso da uno o una fra i più giovani dei cinque indagati per l’ipotesi di omicidio colposo, da pochissimi giorni entrato in servizio all’impianto ora sotto sequestro, addirittura magari per un periodo di stage, una circostanza quest’ultima in corso di accertamento da parte degli investigatori.

Come da verificare, nell’ambito dell’inchiesta, se gli addetti della società guidata da Matteo Sanguineti, 45 anni, di Savona e con direttore Silvio Greco, 47 anni, di Morbegno, entrambi tra gli iscritti sul registro degli indagati (il che - lo ripetiamo sempre - non equivale assolutamente a sostenere un giudizio di colpevolezza), fossero stati sottoposti a un corso di formazione, una volta reclutati spesso con contratti stagionali. Soltanto pochi giorni fa, invece, il procuratore Basilone e il sostituto Daniele Carli Ballola, a Palazzo di giustizia nel capoluogo valtellinese, informate tutte le parti che hanno diritto a nominare un consulente di loro fiducia, avevano conferito gli incarichi ai consulenti tecnici del pm: all’ingegner Paolo Pennacchi del Dipartimento di Mechanical Engineering del Politecnico di Milano e al collega Marco Leati, professionista con studio in provincia di Verona, per valutare lo stato dell’impianto ed eventuali carenze anche di natura strutturale.

E subito dopo magistrati, avvocati e tecnici avevano effettuato un primo sopralluogo nei luoghi dove è avvenuta la disgrazia ora al centro delle indagini.

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