Asst Lecco: scoppia il caso Vertemati, l’ex collega Donato: «Merita la benemerenza»

Proteste sui social a sostegno del medico che, dopo aver fondato il reparto di chirugia toracica al Manzoni, è stato bocciato al concorso per diventarne primario. La denuncia scaturita da un post delle figlie

Lecco

Il “caso” Giuseppe Vertemati, stimatissimo chirurgo toracico che ha fatto dell’Ospedale Manzoni una sua seconda casa e che è stato però escluso dalla scelta del primariato non risultando neanche nei primi tre della graduatoria, dopo decenni di impegno indiscusso, professionale e umano, per la causa della sanità lecchese, è esploso grazie alla lettera pubblicata dai figli sui social. Lettera durissima che accusa la sanità lecchese di aver escluso loro padre da una carica meritata sul campo in modo discutibile. In realtà la lettera è molto più pesante di così. Ma ciò che conta è che dopo questa lettera si è sviluppato un movimento di lecchesi che conoscono o hanno avuto a che fare con il dottor Vertemati, davvero enorme. Tutti uniti in un ideale e grandissimo abbraccio sulla figura di questo medico esemplare.

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E a “La Provincia” è arrivato anche un intervento di sostegno dell’ipotesi che a Vertemati se non si può dare il primariato, si possa concedere la civica benemerenza di San Nicolò che premia non solo la bravura come medico, ma soprattutto la sua grande figura come lecchese che ha fatto tanto per la sua città. Arriva da un ex assessore della Giunta Brivio, e ora medico anestesista in pensione, come Ivano Donato.

«Ci sono storie che raccontano più di mille statistiche sullo stato attuale della sanità italiana. Storie che fanno male perché parlano di dedizione, di sacrificio, di competenza costruita giorno dopo giorno, intervento dopo intervento, notte dopo notte. E parlano anche di ingiustizia. Una di queste è la storia — vera — di un collega e amico, un chirurgo toracico dell’Ospedale di Lecco. Arrivò a Lecco oltre vent’anni fa, dopo un percorso formativo severo e appassionato a Sondalo. A Lecco non esisteva una vera chirurgia toracica: c’era solo un servizio inglobato nella chirurgia generale. È stato lui, da solo, a costruire ciò che oggi chiamiamo “Chirurgia Toracica di Lecco”. Gli venne assegnata una struttura semplice, giusto per riconoscergli un minimo d’autonomia. Il resto lo fece per abnegazione e amore per il proprio lavoro. Negli anni ha operato senza sosta. Le ore passate in ospedale non si contano. Sempre presente, sempre disponibile, sempre con una parola gentile per tutti. Professionale, competente, instancabile. Non c’è stato mai un “no” alle necessità dell’ospedale: quando gli chiesero di coprire anche Merate, fu il primo a offrire la propria presenza. Perché per lui il paziente è sempre venuto prima di tutto».

Poi è arrivato il Covid. «La fase più buia della nostra vita professionale – commenta Donato -. E lui, ancora una volta, c’era. Da solo, ogni giorno, ha eseguito broncoscopie nei reparti stravolti dalla pandemia. In rianimazione, in pronto soccorso, in medicina, perfino in sale operatorie riconvertite all’improvviso per le Cpap. Ha liberato vie aeree, ha salvato vite, ha respirato quell’aria carica di paura e contagio senza tirarsi mai indietro. Non per eroismo: per dovere morale. E oggi? Oggi la sua “creatura”, la Chirurgia Toracica, diventa finalmente reparto autonomo. Una conquista che porta la sua impronta e il suo nome. Tutti si aspettavano un naturale coronamento di un percorso esemplare: la direzione di quel reparto. La guida di ciò che lui stesso ha creato. E invece no. Al colloquio del concorso, inspiegabilmente arriva terzo. Terzo. Dietro a chi quella storia non l’ha costruita, non l’ha vissuta, non l’ha sudata. Dietro a chi non c’era quando servivano braccia, cuore e coraggio. Dietro a chi non ha mai messo un granello del proprio tempo per far crescere quel servizio. Non sono qui per discutere atti amministrativi, punteggi o formalismi procedurali. Sono qui per denunciare una distorsione morale. Una ferita al senso stesso del merito. Una mancanza di riconoscenza verso chi ha fatto grande un ospedale senza chiedere nulla in cambio. La sanità pubblica si regge su persone così. Su medici che lavorano in silenzio, che costruiscono laddove non esiste nulla, che non cercano luci né titoli ma fanno la differenza ogni giorno al letto del paziente».

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