Giovani e microcriminalità, Ass Casset: «A quei ragazzi mancano i valori»

Il sindacalista Cgil e presidente dell’associazione dei senegalesi della provincia di Lecco commenta i recenti episodi di microcriminalità con protagonisti giovani stranieri di seconda generazione

Lecco

Il caso dei cinque giovani egiziani arrestati per una rapina commessa a fine febbraio fuori da una discoteca di Albosaggia è solo l’ultimo di una lunga serie di episodi di microcriminalità con al centro ragazzi stranieri di seconda generazione registrati negli ultimi mesi anche nel nostro territorio. A colpire, in questo caso, è il fatto che i ragazzi si siano recati nel sondriese in treno partendo da Lecco appositamente per commettere una rapina. Di fronte a dinamiche così efferate, l’analisi di Ass Casset, storico sindacalista della Cgil Lecco, nonché presidente dell’associazione dei senegalesi della Provincia di Lecco, è cruda e non lascia scampo. Nelle sue parole si percepisce il peso della sfida che ha dovuto affrontare chi è arrivato in Italia trent’anni fa per integrarsi.

Che idea si è fatto di questi continui episodi di microcriminalità con protagonisti giovani di origine straniera?

Sono fatti gravi e devono essere condannati a 360 gradi. Allo stesso tempo credo che a Lecco la situazione sia sotto controllo grazie all’impegno delle autorità, delle istituzioni ma anche delle comunità di stranieri, molte delle quali hanno delle associazioni che cercano di giocare un ruolo di prevenzione ma anche di deterrenza. Il fenomeno va monitorato senza creare allarmismi.

Quali sono le differenze tra il percorso che ha dovuto affrontare la sua generazione per integrarsi e quello di questi ragazzi?

Chi arrivava in Italia trent’anni fa aveva degli obiettivi chiari: lavorare, partecipare alla crescita economica dell’Italia, crescere noi stessi, mantenere la famiglia che avevamo qui e aiutare i familiari rimasti nel paese di origine. Quando una persona ha degli obiettivi chiari fa di tutto per raggiungerli ma è necessario anche rispettare le leggi, la cultura e il paese che ti ospita. A quei giovani mancano questi valori. Sono cresciuti in un mondo in cui tutto è a portata di mano. Pensano che gli sia tutto dovuto e che non è necessario rimboccarsi le maniche per lavorare come hanno fatto i loro genitori, costretti in passato magari a fare i salti mortali per mantenere la famiglia.

Quanto incidono i social in questo contesto?

Tanto. Questi giovani vedono loro coetanei che girano con i vestiti griffati o le macchine di lusso e dicono di volere anche loro quelle cose senza chiedersi cosa ha fatto una persona per averle. Anziché guardare ai loro genitori, che si sono fatti in quattro per crescerli, i giovani di oggi copiano modelli sbagliati. Anzichè studiare o lavorare, scelgono una via apparentemente più facile che però li porta a rovinare non solo la loro vita ma anche quella dei loro familiari, persone che magari sono qui da anni e non hanno mai avuto problemi.

L’etnia può avere un ruolo in queste dinamiche? Gli autori della rapina di Albosaggia erano di origine egiziana.

Lo escludo categoricamente. La delinquenza non ha un passaporto o una nazionalità. Il problema è culturale e non è legato all’etnia di chi commette questi reati.

A Lecco nelle ultime settimane si è molto discusso della possibilità di utilizzare i militari per presidiare alcuni luoghi critici, a partire dalla stazione ferroviaria. Cosa ne pensa?

Sono contrario alla militarizzazione del territorio. Credo che il fenomeno vada monitorato e accompagnato con prudenza. A Lecco mancano strutture e punti di aggregazione dove giovani di quella fascia d’età si possano riunire per socializzare e stare insieme. I controlli ci devono essere e ben vengano ma è fondamentale investire sull’educazione socioculturale. Senza questa i ragazzi, a prescindere dal paese di origine, non riescono a trovare punti di riferimento e finiscono con il seguire modelli sbagliati.

L’ultimo referendum ha riacceso il dibattito sulle questioni legate alla cittadinanza. Molti di questi ragazzi non sono cittadini italiani. Quanto pesa quest’aspetto?

Un giovane nato e cresciuto in Italia, che conosce solo questo paese, come si può sentire a non essere un cittadino italiano? In tutto il paese ci sono migliaia di ragazzi che non possono partecipare ai programmi Erasmus, non possono giocare nelle nazionali o partecipare ai concorsi pubblici perché non hanno la cittadinanza. I loro compagni di banco a scuola, invece, possono fare tutte queste cose. Come ci si può sentire di fronte a questo? Questi ragazzi si sentono italiani, vogliono agire come italiani e finiscono per seguire modelli sbagliati. Il fatto di dover aspettare a lungo per avere la cittadinanza incrina il senso di appartenenza a questa società e questo paese. È un aspetto importante che non va per nulla sottovalutato.

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