Guerra in Medio Oriente, l’appello da Lecco dello chef iraniano: «Distruggete i dittatori, non i popoli»

Dallo chef iraniano Hooman Soltani, titolare del ristorante Cardamomo nel centro di Lecco, una testimonianza personale e politica sulla guerra tra Iran e Israele. Nato nel pieno della rivoluzione del 1979 e segnato dalla guerra, racconta il trauma della migrazione forzata e denuncia tanto la teocrazia iraniana quanto l’ipocrisia dell’Occidente. E lancia un appello accorato: «Distruggete i dittatori, non i popoli»

Lecco

Chi frequenta il suo ristorante – il Cardamomo, nel pieno centro di Lecco - lo conosce per la cucina raffinata e per i sapori di una terra lontana, ma in queste ore mai così vicina. Lo chef iraniano Hooman Soltani porta con sé una storia dura. Una storia fatta di guerra, perdita, migrazione forzata. E oggi, di fronte al conflitto che oppone Iran e Israele, ha deciso di rompere il silenzio con uno scritto che spiega bene che cosa provano oggi i tanti giovani iraniani che vivono a Lecco. «Sono nato all’ombra di una rivoluzione che non ho scelto – dice Hooman - La rivoluzione del 1979 – dice – non ha liberato l’Iran, ma lo ha gettato “nel baratro del fondamentalismo». Il Paese, allora tra i più avanzati del Medio Oriente, è stato travolto da una teocrazia che ha tolto libertà e futuro a milioni di cittadini.

«Avevo sei anni quando un missile colpì l’ospedale accanto a casa. Mio zio morì dissanguato. Le sirene, le esplosioni, le urla non erano suoni adatti a un bambino.»

Ricordi dolorosi, che Hooman non riesce a dimenticare. Come non dimentica la partenza, quel giorno in aeroporto che per lui è stato una morte simbolica: «Noi, migranti forzati, siamo già morti una volta. Quel giorno, con il biglietto di sola andata.»

A Lecco ha trovato una nuova vita, ma il legame con l’Iran resta fortissimo. E guardare oggi alla nuova guerra lo riempie di rabbia e frustrazione.

«Israele dice: ‘Combattiamo i dittatori’. Il dittatore dice: ‘Combattiamo Israele’. Ma chi muore? Sempre noi. Sempre i bambini. Sempre gli innocenti.» Nel suo racconto c’è anche una denuncia chiara verso l’Occidente, che per decenni – secondo lui – ha sostenuto regimi per convenienza economica e strategica: «Avete avuto decenni per aiutare il popolo iraniano a liberarsi. Avete scelto di sostenere, in silenzio, chi garantiva i vostri interessi.» E l’ingiustizia continua anche oggi, racconta, con le sanzioni che colpiscono solo la gente comune, e non i potenti:

«Oltre 4.000 figli di ministri iraniani vivono liberamente in Europa e America. Ma un iraniano normale non riesce nemmeno ad aprire un conto in banca in Italia.»

Di fronte al nuovo conflitto, Hooman non chiede pietà. Chiede giustizia. Chiede che si smetta di far pagare i popoli per colpe che non hanno. «Il sangue di un bambino israeliano non è diverso da quello di un bambino iraniano. La morte è morte. Ovunque, comunque.»

E conclude con parole semplici rivolte a chi ha ancora orecchie per ascoltare: «Basta guerre. Basta morte. Basta dittatori. Distruggete i dittatori, non i popoli. Non in nostro nome. Non più.»

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