Cronaca / Lecco città
Mercoledì 24 Dicembre 2025
Casa della Carità di Lecco, una casa vera nel cuore della città
Nata come idea di comunità più che come insieme di servizi, a tre anni dall’inaugurazione è diventata un luogo di accoglienza, relazioni e responsabilità condivisa contro le nuove povertà
Lecco
La Casa della Carità di Lecco non nasce come un insieme di servizi, ma come un’idea precisa di città. «Non doveva essere un condominio», spiega Luciano Gualzetti, «ma una casa vera, un luogo dove le persone potessero sentirsi accolte». A tre anni dall’inaugurazione, quella visione ha preso forma nel cuore del centro storico, diventando un punto di riferimento per chi vive situazioni di fragilità e per chi sceglie di farsi carico, concretamente, delle povertà che attraversano la comunità.
Quando venne aperta, alla presenza dell’Arcivescovo Mario Delpini, la Casa della Carità si presentò come un segno visibile: un luogo dove chi ha bisogno può entrare senza sentirsi fuori posto e dove chi vuole aiutare trova uno spazio in cui farlo con continuità. Oggi quella promessa si traduce in un rifugio notturno con trenta posti letto, due appartamenti per famiglie in difficoltà abitativa, una mensa, docce, lavanderia, guardaroba, deposito bagagli, uno studio medico e l’Emporio della Solidarietà. Ma, come chiarisce Gualzetti, «l’elenco dei servizi non dice tutto. Quello che conta davvero è la qualità delle relazioni che si costruiscono ogni giorno».
La Casa della Carità è nata mettendo insieme esperienze già presenti sul territorio e integrandole in un’unica realtà. «Non è stato semplice», racconta Gualzetti. «Un conto è gestire un servizio con orari e obiettivi precisi, un altro è far funzionare una casa, dove le persone entrano con storie complesse e bisogni diversi». Oggi la struttura si regge sul lavoro di una decina di operatori professionali e sull’impegno costante di oltre duecento volontari. Una comunità nella comunità, chiamata ogni giorno a trovare un equilibrio tra accoglienza, regole e limiti.
Non tutto è possibile, e questo viene detto con chiarezza. «Ci sono situazioni che non possiamo gestire pienamente, come quelle legate a gravi dipendenze», ammette Gualzetti. «Ma nessuno viene ignorato. Anche quando non possiamo offrire un posto letto, garantiamo ascolto, un pasto, una doccia. L’idea è non lasciare nessuno senza una risposta».
I numeri aiutano a capire la portata del lavoro svolto, ma non ne esauriscono il significato. Oltre novecento persone ascoltate in un anno dal Centro di ascolto, più di diciassettemila pasti distribuiti in mensa, migliaia di pernottamenti nel rifugio notturno, centinaia di famiglie sostenute dall’Emporio. «Dietro ogni dato c’è una storia», sottolinea Gualzetti. «E sempre più spesso sono storie complesse, segnate da lavoro precario, difficoltà abitative, solitudine».
A osservare la Casa della Carità con uno sguardo diverso è Maurizio Crippa, entrato recentemente come volontario. «Sono arrivato in punta di piedi», racconta, «con l’idea di mettere a disposizione quello che so fare». La sua esperienza nel mondo dell’impresa lo ha portato a lavorare su un’analisi organizzativa, utile a leggere ciò che accade dentro e attorno alla Casa. «Qui non esistono compartimenti stagni», spiega. «Ci sono flussi: le persone entrano, vengono accolte, ascoltate, e se possibile accompagnate a immaginare un futuro diverso da quello che le ha portate fin qui».
Da questo lavoro è emersa con forza l’importanza delle alleanze. «Abbiamo capito che uno degli interlocutori chiave è il mondo delle imprese», dice Crippa. «Molte persone che passano dalla Casa della Carità sono in grado di lavorare. Con un po’ di supporto possono diventare una risorsa anche per le aziende». Alcuni volontari affiancano già queste persone nella formazione e nella ricostruzione dei curricula, creando ponti tra fragilità e opportunità.
Il valore della Casa della Carità non è solo operativo, ma anche simbolico. La sua collocazione, accanto alla chiesa e all’oratorio, racconta una scelta precisa. «Dice quali sono le priorità di una comunità», osserva Gualzetti. «La liturgia è credibile quando, uscendo dalla messa, ci si prende cura delle persone». È un messaggio che parla anche alla città nel suo insieme: la povertà non è qualcosa da delegare, ma una responsabilità condivisa. «Non può essere “ci pensa la Caritas”», insiste. «Serve un’alleanza tra cittadini, istituzioni, imprese».
Uno dei cambiamenti più evidenti riguarda il volto della povertà. «Il processo di impoverimento è costante», spiega Gualzetti. «Non colpisce più solo chi era già fragile, ma anche il ceto medio». Il lavoro non garantisce più automaticamente di stare fuori dalla povertà, il costo della casa pesa sempre di più e le famiglie giovani sono tra le più esposte. «Oggi vediamo molte più famiglie e molti più giovani rispetto al passato», aggiunge. «Le risposte tradizionali del welfare sono sotto pressione e anche il terzo settore fatica a reggere».
In questo contesto, il volontariato resta una risorsa fondamentale. «La generosità non manca», osserva Crippa, «ma oggi non basta. Servono competenze, organizzazione, strumenti adeguati». E chiarisce: «Organizzare non significa snaturare la gratuità, ma renderla più efficace, soprattutto quando i bisogni diventano così complessi».
Grande attenzione è riservata anche ai giovani e al mondo della scuola. La Casa della Carità accoglie gruppi, propone incontri, apre spazi di confronto. «L’incontro diretto con le storie di povertà e migrazione è il racconto più potente», afferma Gualzetti. «Aiuta a cambiare lo sguardo e a interrogarsi sulle cause delle esclusioni». Per Crippa, queste esperienze sono decisive: «Se non offriamo ai ragazzi occasioni che parlino alla loro coscienza, rischiamo risposte superficiali. Qui imparano a guardare negli occhi le persone».
La Casa della Carità non chiude mai, nemmeno nei giorni di festa. «Siamo aperti 365 giorni all’anno», racconta Gualzetti. «A Natale e nelle festività cerchiamo di intensificare la vicinanza, senza grandi proclami, ma con gesti semplici, come si fa in una famiglia». Pranzi condivisi, momenti di festa, il veglione di Capodanno animato da giovani e volontari: occasioni per ricordare che la solitudine, in certi giorni, pesa ancora di più.
Alla fine, la Casa della Carità resta soprattutto un invito a cambiare prospettiva. «Ci ricorda», conclude Gualzetti, «che una comunità è davvero tale solo se è per tutti». Un luogo che non risolve tutto, ma che prova ogni giorno a restituire dignità, ascolto e possibilità. E che, nel farlo, chiede a ciascuno di scegliere se restare spettatore o diventare parte della risposta.
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