Lecco, mancano infermieri: cresce la fuga verso l’estero

In provincia ci sono solo 6,21 infermieri ogni mille abitanti, sotto la media italiana e lontano dagli standard Ocse. Il presidente dell’Ordine, Fabio Fedeli, lancia l’allarme

Lecco

Nel Lecchese, ci sono 6,21 infermieri ogni mille abitanti: un valore inferiore alla media italiana di 6,5 e ben distante dagli 8,4 dell’area Ocse. «L’Italia ha un numero decisamente inferiore di infermieri rispetto alla media europea – spiega Fabio Fedeli, presidente dell’Ordine delle professioni infermieristiche di Lecco – In un contesto in cui c’è la necessità di ampliare anche l’offerta assistenziale sul territorio, avere un numero esiguo di professionisti non aiuta. Alle necessità ospedaliere si sommano quelle territoriali, come la copertura dell’assistenza domiciliare e lo sviluppo degli infermieri di famiglia e di comunità, figure strategiche nella gestione della cronicità».

Secondo i dati elaborati dall’Ordine, nel 2024 si sono iscritti 34 infermieri neo-laureati, un numero inferiore rispetto alla media nazionale, pari a 17 neo-laureati ogni 100.000 abitanti, contro i 10 del territorio lecchese. «Abbiamo avuto in totale 46 nuovi ingressi – prosegue Fedeli – tra cui anche professionisti trasferiti da altre province, a fronte però di 57 cancellazioni, di cui 23 per cessata attività, quindi pensionamenti. Sono dati che riflettono l’andamento provinciale e mostrano la difficoltà nel ricambio generazionale». Una dinamica che non riguarda solo Lecco. A livello nazionale, per la prima volta, nel 2024 ci sono stati meno candidati ai corsi di laurea in infermieristica rispetto ai posti messi a bando.

«È la conferma di quanto sosteniamo da tempo – sottolinea Fedeli – il problema non è tanto il numero chiuso, quanto la scarsa attrattività della professione. Pur essendo un lavoro fondamentale e con occupazione immediata, richiede sacrifici importanti, con turni, notti e festivi. Bisogna intervenire non solo aumentando i posti all’università, ma rendendo la professione più appetibile, anche attraverso politiche di welfare e conciliazione vita-lavoro». La questione, precisa, non si limita all’aspetto economico. «C’è un tema di riconoscimento sociale. In questi anni la professione è cresciuta: siamo passati dalle scuole regionali di formazione professionale a un livello accademico, quindi con requisiti formativi e responsabilità maggiori. Ma se la retribuzione non cresce di pari passo, l’effetto è negativo».

Sempre più infermieri, infatti, migrano dal pubblico al privato o in Svizzera, in cerca di stipendi più alti. Un’altra criticità riguarda la mancanza di prospettive di carriera clinica. «Oggi un infermiere può crescere solo passando a ruoli gestionali o manageriali – spiega – Se resta in reparto, lo stipendio rimane invariato per tutta la carriera. In altri Paesi, come nel Regno Unito prima della Brexit, chi si specializza ottiene un riconoscimento economico e professionale. In Italia, invece, un infermiere che si forma ulteriormente non ha scatti contrattuali. Dei circa 30.000 infermieri italiani che lavorano all’estero, molti non tornano perché qui le loro specializzazioni non verrebbero riconosciute».

Per invertire la tendenza, Fedeli auspica un investimento strutturale nella formazione post-base e nel riconoscimento delle competenze. «Servono percorsi di specializzazione con scatti contrattuali conseguenti – dice – Alcune regioni stanno introducendo borse di studio integrative e contributi per chi sceglie questa professione, insieme a misure di welfare come alloggi agevolati o asili nido con orari estesi, indispensabili per chi lavora su turni». Nonostante le difficoltà, Fedeli non ha dubbi sul valore della scelta. «A un ragazzo che oggi valuta di iscriversi a infermieristica direi che è una professione dal valore enorme – conclude - Non si tratta solo di curare, ma anche di prevenire e di educare le persone a non ammalarsi. È una professione poliedrica, che permette di lavorare in tanti contesti, dall’emergenza alla sanità territoriale. È un mondo in crescita, che ha bisogno di persone motivate, capaci di formarsi e di prendersi cura della comunità».

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