Una lecchese tra gli attivisti sfiorati dai raid russi su Leopoli. «Qui paura costante»

Elisa Mascellani, ex docente del Manzoni, partecipa a una missione umanitaria. «Abbiamo vissuto per quattro giorni – prosegue Mascellani – ciò che gli ucraini vivono da quattro anni»

Lecco

«Negli attacchi di questa notte è morta una famiglia di quattro persone, tra cui una ragazza adolescente». Nonostante il grande spavento, la voce di Elisa Mascellani, ex docente di latino e greco al liceo Manzoni, è sicura. La sessantaquattrenne, originaria di Lecco ma residente a Milano, è una dei 110 attivisti italiani del Movimento europeo di azione non violenta che nella notte tra sabato e domenica sono stati sfiorati da un attacco russo.

«Eravamo in viaggio verso il confine polacco – racconta Mascellani – eravamo distribuiti su tre vagoni letto. Ad un certo punto, in piena notte, abbiamo iniziato a sentire distintamente il rumore dei missili, il ronzio dei droni e la contraerea. Abbiamo abbassato i finestrini e tirato tutte le tende per proteggerci da eventuali schegge. Il nostro portavoce, in contatto con il capo treno, ci ha chiesto di preparare un bagaglio leggero per un’evacuazione che però non è avvenuta. Siamo rimasti fermi tanto tempo a Leopoli per ragioni di sicurezza e poi siamo ripartiti».

Nessuno degli italiani è rimasto in alcun modo ferito. Quando Mascellani risponde al telefono il gruppo è sul pullman in territorio polacco diretto verso Cracovia, da dove poi gli attivisti hanno preso l’aereo per rientrare in Italia. La cugina di Elisa, Gloria Mascellani, risiede da anni a Kiev ed è la segretaria del nunzio apostolico in Ucraina. «Abbiamo vissuto per quattro giorni – prosegue Mascellani – ciò che gli ucraini vivono da quattro anni: paura e tensione costanti. Siamo andati in Ucraina proprio per stare vicino a questo popolo. A Kharkiv abbiamo incontrato amministratori pubblici, artisti, sportivi ma anche gente comune per strada. Gli ucraini erano desiderosi di parlare, raccontare ciò che stanno vivendo e il senso della loro resistenza. «Noi vogliamo essere europei e combattiamo per la libertà» ci hanno detto. Un’anziana ci ha regalato una spilla con la bandiera dell’Ucraina quando ci ha incontrato in metropolitana». Oltre a causare la morte della famiglia, l’attacco russo ha colpito un impianto industriale ma soprattutto ha suscitato la reazione di Varsavia che ha fatto alzare i caccia.

«Questa notte abbiamo capito perché gli ucraini chiamano i loro soldati “difensori” – sottolinea l’attivista lecchese – se nelle grandi città si riesce a fare una vita normale è perché ci sono i soldati al fronte e c’è chi si occupa della difesa aerea. Non sono solo i militari: il nunzio apostolico ci ha raccontato di civili che di giorno svolgono lavori normali e di notte stanno sui tetti per contribuire alla difesa contro i droni».

Oltre al calore, nel cuore degli attivisti è rimasta la determinazione degli ucraini. «Nonostante i cimiteri spaventosi che abbiamo visitato – conclude Mascellani – abbiamo visto il desiderio delle persone di vivere una vita libera. Chiedono aiuto non solo per le infrastrutture, che vengono ricostruite non appena vengono colpite, ma anche per i bambini. In molti soffrono di sindrome da stress traumatico dopo essere passati dal Covid alla guerra. Questo è significativo di quanto gli ucraini pensano al futuro».

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