«Anche nostro nipote maltrattato a Villa Santa Maria. Ora sappiamo le ragioni di quei graffi e di quei lividi»

Parlano i nonni di un sedicenne ricoverato nella struttura di Tavernerio. «Da tre anni siamo a conoscenza dell’inchiesta ma non potevamo dire nulla»

Chiavenna

«Mio nipote è stato ricoverato per otto anni a “Villa Santa Maria”, a Tavernerio, in provincia di Como, dopo la diagnosi di disturbo pervasivo dello sviluppo ottenuta dal centro di Bosisio Parini (Lecco) e stante l’impossibilità di poterlo seguire con profitto a casa. Il centro ci è stato indicato dagli operatori dei Servizi sociali come un luogo di eccellenza per questo tipo di situazioni e mai ci saremmo aspettati una cosa simile. É stato un colpo al cuore quando lo siamo venuti a sapere».

A parlare è la nonna di uno dei ragazzi, residente in Valchiavenna, ospite del Centro finito sotto inchiesta nel 2022 per presunte violenze e maltrattamenti che sarebbero stati perpetrati ai danni di almeno 15 vittime, di età compresa fra gli otto e i 26 anni.

Almeno 30 episodi di violenza contestati e documentati dai carabinieri anche attraverso riprese video, agli atti della Procura della Repubblica di Como che, pochi giorni fa, ha notificato l’avviso di chiusura delle indagini cui farà seguito, è pressoché scontato, la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di 14 operatori socio sanitari della struttura, tre donne e 11 uomini, in buona parte non più in servizio nella stessa.

«É da tre anni che siamo a conoscenza di questa indagine - dice la donna -, ma non abbiamo mai potuto parlare. I carabinieri hanno detto a mia figlia e al papà di mio nipote di non proferire parola perché la situazione era delicatissima e gli accertamenti in corso anche con l’apposizione di telecamere nella struttura, per cui tutto era secretato. Mia figlia è stata chiamata alle 23, una sera, dai carabinieri di Albate (Como), che l’hanno convocata in caserma per spiegare a lei e al papà del ragazzo la situazione. É a quel punto che ci siamo capacitati dei lividi che aveva in volto mio nipote. Ci è arrivato a casa pieno di graffi, con un occhio nero e un braccio che non riusciva a muovere. Noi gli abbiamo chiesto più volte cosa fosse successo, ma lui ci ha sempre detto che avevano litigato fra amici, fra ospiti. Non ha mai svelato la verità, probabilmente obbligato a tacere dagli operatori stessi. E noi non abbiamo mai sospettato. Anche se a casa, quando arrivava, era sempre cupissimo, irritabile al massimo. Si capiva che era in forte stato di disagio».

Fino a quando, saputo dei maltrattamenti dai carabinieri, i famigliari del ragazzo, che oggi ha poco più di 16 anni, si sono resi conto di tante cose ed hanno cominciato ad attivarsi per capire come toglierlo da quella situazione.

«Siamo risaliti alla realtà della “Casa di Leo”, comunità alloggio per disabili di Lirio, in provincia di Pavia - dice la donna -, voluta dalla mamma di due ragazzi con spettro autistico scontenta del trattamento cui erano sottoposti in altre strutture. Siamo andati a visitare il luogo ed è bellissimo. Tutta un’altra impostazione. Non ci sono restrizioni o costrizioni. I ragazzi hanno tutta la libertà che vogliono e questo li rende più tranquilli. Anche mio nipote, che è lì dal 7 gennaio scorso, è diventato un’altra persona. Sereno, contento. Lo sentiamo in videochiamata perché per un anno non gli possiamo far visita, fa parte della terapia, ma sta benissimo. É attivo e partecipe. Non come prima, sempre imbottito di psicofarmaci, contenuto a letto e irritabile al massimo. Abbiamo deciso di parlare perché non vogliamo che questa inchiesta venga insabbiata. La struttura di Tavernerio sta prendendo le distanze dall’accaduto, ma ci sono le prove. Video terribili, ci hanno detto, che ora non possiamo vedere e chissà, se ci sarà il processo, se ci sentiremo di guardare».

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