Ponte in Valtellina, Melavì: si avvicina l’udienza del 16 ottobre

La cooperativa nata dalla fusione di tre realtà locali, gravata da costi fissi elevati e calo dei conferimenti, cerca una soluzione. Cresce la preoccupazione tra soci e fornitori

Ponte in Valtellina

Dopo le ferie estive si avvicina sempre più l’udienza del 16 ottobre, fissata dal Tribunale di Sondrio, per l’omologazione del concordato semplificato di Melavì, la cui sede centrale è sempre stata a Ponte in Valtellina. Entro questa data i creditori avranno avuto modo di esaminare il piano proposto dalla società e, nei dieci giorni precedenti, avranno la possibilità di opporsi all’omologazione.

Molti soci e comuni cittadini valtellinesi, nel frattempo, si stanno interrogando sulle cause del dissesto con esposizione debitoria per circa 23 milioni. I motivi del crac sono senz’altro molteplici, ma, a giudizio di alcuni soci, molti di questi fattori trovano radici risalenti nel tempo e derivanti dal non avere efficacemente affrontato problematiche che si sono immediatamente palesate dopo la costituzione della cooperativa, poi ingigantite da diversi flop, come il sogno Dubai di cui abbiamo parlato in un precedente servizio.

Ma facciamo un passo indietro. Melavì è stata costituita nel 2013 con la fusione delle tre cooperative storiche valtellinesi, Cooperativa Ortofrutticola di Ponte in Valtellina, Frutticoltori Villa di Tirano e Cooperativa Ortofrutticola Alta Valtellina. L’integrazione delle tre società avrebbe dovuto generare risparmi nella gestione dell’attività che, di fatto, sono mancati. Dal 2013, infatti, sono rimasti attivi tutti e tre i precedenti complessi produttivi di Ponte in Valtellina, Bianzone e Tovo Sant’Agata. I costi fissi legati alla gestione delle tre strutture - ha accertato l’ausiliario della procedura di concordato semplificato nominato dal Tribunale, ossia il dottor Simone Martinalli, titolare di un affermato studio di commercialisti a Morbegno - ammontavano, negli ultimi anni, a circa 3 milioni di euro per ciascun anno, cifra davvero enorme e difficilmente sostenibile.Le tre strutture sono state mantenute in vita nonostante l’implacabile aumento dei costi fissi degli anni recenti e la forte diminuzione delle mele conferite alla cooperativa dai soci; dalle 30mila tonnellate di prodotto dei primi anni si è giunti, più di recente, a conferimenti ampiamente inferiori alle 10mila tonnellate l’anno. «L’acquisto di mele sul mercato, in sostituzione di quelle conferite dai soci in quantità sempre minore - ha rilevato il perito Martinalli nella relazione al giudice delegato titolare del fascicolo, dottoressa Sara Cargasacchi - ha costituito un ulteriore elemento che ha determinato l’aumento dei costi, dovendo la cooperativa pagarle subito e a un prezzo superiore».

Recentemente Melavì ha anche tentato di creare un’azienda agricola di gestione diretta dei frutteti, proprio allo scopo di contrastare la progressiva perdita dei soci produttori e delle mele da questi conferite in precedenza. Anche questa iniziativa, tuttavia, non ha portato i risultati sperati, lasciando spesso i frutteti in uno stato di cattiva cura e manutenzione, con rendimenti molto inferiori al previsto.

Un amministratore commentò: «Sono frutteti allo sbando, inguardabili».Tra i fornitori storici e i soci oggi serpeggiano malumori sempre più forti. Alcuni di questi erano intenzionati a uscire dalla cooperativa, ma non sono riusciti per tempo, andando così ad incrementare il loro credito verso la Coop per avere continuato a consegnare le mele. Si tratta di un credito che - secondo le stime dell’ausiliario della procedura, ovvero il commercialista con studio professionale a Morbegno - non potrà essere pagato con le somme che si otterranno dalla liquidazione della società. Lo stesso vale per i prestiti in denaro dei soci alla Coop che rischiano seriamente di non essere più restituiti e per gli stessi fornitori che rischiano di perdere l’intero loro credito. Ora che un professionista, il dottor Simone Martinalli, ha messo nero su bianco che, nel tempo, è mancato un piano industriale, in molti si domandano se questo triste epilogo poteva essere evitato attraverso scelte aziendali appropriate.

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